CAPITOLO 4

 

 

 

 

 

 

 

Roma, lunedì 17 febbraio,

ore 10:00

 

Il bimotore privato Gulfstream G650 virò di pochi gradi e abbassò il carrello.

Luca Zorzi, il fratello del presidente del Consiglio, aprì gli occhi svegliato dalle lievi vibrazioni. Era seduto in ultima fila su un sedile in pelle color champagne, con i piedi appoggiati al tavolino di radica.

Guardò attraverso l’oblò, ma non riuscì a capire dove si trovassero. Nuvole fitte, tagliate diagonalmente dall’ala snella del velivolo, scorrevano veloci. La discesa era appena cominciata.

«L’atterraggio è previsto per le dieci e quindici minuti». Il comandante irruppe nel silenzio dall’interfono: parlava a beneficio dei due unici passeggeri. «La temperatura a terra è di otto gradi e mezzo. Sulla pista troverete l’auto che vi scorterà a Palazzo Chigi e poi alle esequie».

Zorzi si alzò per sgranchirsi le gambe e con il capo sfiorò la cabina del velivolo. Le maniche della camicia erano arrotolate e il nodo della cravatta allentato. Quella mattina, nonostante la disgrazia, appariva in discreta forma, solo un po’ più stanco del solito.

Aveva quarantatré anni portati bene, un fisico atletico e uno sguardo rassicurante. I suoi modi gentili e il sorriso affabile gli avevano fatto guadagnare il soprannome di “Belloccio”.

«Sei sveglia?», chiese a bassa voce. La moglie, di spalle, era poco distante e con le cuffie nelle orecchie. Occupava il salottino al centro della cabina e stava scrivendo qualcosa sul tablet collegato a Internet.

Un tempo erano stati una squadra vincente. Ultimamente, però, non erano più molto affiatati. Tutti fanno degli errori ma lui era stato attentissimo. Lei, di certo, non poteva sapere… La ragione andava cercata altrove, doveva essere un’altra. Da quando era stato eletto sindaco di Venezia le aveva dedicato troppo poco tempo, il motivo era certamente quello!

Anche Lucrezia però non era più molto di compagnia: le poche volte che stavano insieme non si separava mai dal cellulare, dal computer portatile e da qualunque dispositivo che la collegasse al mondo esterno.

Sembrava che gli accadimenti del cyberspazio fossero più importanti del tempo da passare con lui. Cominciava ad avere l’impressione che il loro rapporto stesse in piedi solo per questioni di facciata. Quasi per dire all’opinione pubblica: «Noi siamo la famiglia felice! Votate Luca Zorzi, l’uomo e il marito perfetto».

E adesso, la disgrazia capitata ad Alberto.

Si dice che le fasi di elaborazione del lutto siano sette: shock, rifiuto, senso di colpa, paura, rabbia, depressione, accettazione. Questo percorso prevede stati emotivi intensi e contrastanti, ma Luca Zorzi non era completamente convinto che la cosa lo riguardasse. Era sempre riuscito a tenere ben separate la sfera privata da quella pubblica. Ci sarebbe riuscito anche quella volta.

Di sicuro voleva bene al fratello, soprattutto dopo l’incidente di dieci anni prima… ma in quel preciso momento non gli sembrava di essere così disperato. Lo shock per la notizia era stato forte, ma non gli pareva ci fosse molto altro.

Forse dipendeva dal loro rapporto. Alberto era sempre stato quello più bravo, quello più intelligente, quello più di successo e quello più generoso. Per quanto lui fosse bravo… non lo era mai abbastanza.

Non era mai stato invidioso, almeno così diceva, anche se inizialmente aveva vissuto male quella competizione in cui era sempre il numero due. Ne aveva sofferto. Poi, dopo ciò che Alberto aveva fatto per lui in seguito all’incidente, aveva saputo prenderla come uno stimolo.

E così, adesso, anche grazie al fratello, aveva la sua vita e aveva ottenuto molto più di chiunque conoscesse… Alberto a parte. Di una cosa era sicuro: paura, rabbia e depressione non sarebbero arrivate. Forse solo il senso di colpa, per quello che provava nel suo intimo, ma avrebbe saputo conviverci. Avrebbe avuto ben altro a cui pensare.

Mise una mano sulla spalla della moglie e le sorrise.

La donna, di una bellezza latina, portava i lunghi capelli scuri raccolti in una coda di cavallo. Lo guardò sorpresa e spense velocemente il dispositivo. «Ciao. Siamo quasi arrivati».

«Ci ho pensato!», gemette Zorzi, riferendosi alla conversazione avuta poco prima di salire sul volo.

«Luca, questa è la tua occasione», gli aveva suggerito Lucrezia sulla scaletta del Gulfstream.

Sembrava l’allenatore di un talento emergente. Il marito era l’astro dello sport che aveva tutte le carte in regola per diventare il campione e la moglie era quella che gli dava gli stimoli giusti. Anche grazie a Lucrezia era arrivato a essere uno dei più giovani sindaci nella storia della Serenissima. Anche… ma non solo: le sue capacità, oltre al cognome, al sorriso affabile e alla faccia da ragazzo della porta accanto non erano state meno determinanti.

I consigli della moglie, i suoi pareri, i suoi suggerimenti erano sempre stati utili, ma alla fine era sempre stato lui a prendere tutte le decisioni. Era riuscito a essere semplicemente Luca Zorzi, un ragazzo in gamba, un politico in gamba. Dopo anni si era scrollato di dosso l’ombra di Alberto.

«Io non sono come mio fratello», le aveva risposto secco. Temeva che l’attentato l’avrebbe costretto, ancora una volta, ad affrontare competizioni che non poteva più vincere. Il ricordo di Alberto Zorzi sarebbe stato una montagna insormontabile con la quale non avrebbe mai potuto misurarsi.

Ma in fondo sapeva che lei aveva ragione. Doveva pensare al futuro. Non importava quello che era successo.

Il partito aveva bisogno di lui. Luca Zorzi sarebbe stata la soluzione che avrebbe accontentato tutte le anime di Alleanza democratica, sia la corrente più conservatrice capeggiata da Carlo Maria Rosati che i riformisti che vedevano in lui il leader nascente.

«Hai ragione tu, devo prendere in mano la situazione. Dopo il funerale parlerò con una persona…», concluse.

La spia delle cinture di sicurezza si accese ed emise un segnale sonoro molto discreto.

Zorzi si accomodò sul sedile di fronte alla moglie e le sorrise.

 

L’aereo toccò la pista di Ciampino pochi minuti dopo.

Diluviava.

L’asfalto della pista sembrava una palude grigia e viscida. Davanti alle vetrate scure del terminal, una fila di bandiere inzuppate erano immobili a mezz’asta in segno di lutto.

Due auto di scorta li attendevano proprio sotto l’aereo che era stato messo a disposizione dalla presidenza del Consiglio.

Salirono sul un’ammiraglia nera e partirono a velocità sostenuta.

 

 

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