CAPITOLO 50
Altopiano del Renon, Bolzano,
martedì 18 febbraio, ore 12:50
«Quindi è stato tradito dal suo Paese!», concluse Fossati alla fine del racconto di Eva. «Ma come mi potrebbe essere utile questa storia?»
«Se fossi riuscito a portare a termine le tue indagini ti sarebbe stata utile».
«Cosa intendi?»
«Questa è la storia ufficiosa, quella che non sentirai mai. La storia ufficiale, quella che avresti trovato, è molto diversa. Israele non poteva far sapere che c’era il suo governo dietro alla morte del russo. La colpa doveva cadere sull’FSB, il Servizio segreto di Mosca».
«Il fatto che Green fosse scappato deve aver complicato le cose».
«Esattamente. Non dissero nulla di Londra. Yaniv era nato a Gaza e, quando fuggì, Israele dovette giustificare la necessità di un mandato di cattura internazionale. Non potevano lasciarlo in vita con la paura che raccontasse la sua verità. Dissero che era un terrorista di Hamas, un pazzo, uno che agiva da solo».
«Se avessimo scoperto questa versione… l’omicidio di Zorzi sarebbe stato archiviato definitivamente. Era quello che volevano…», concordò Fossati.
«Proprio così. Ma c’è un dettaglio che fino a pochi minuti fa non conoscevo: il polonio. Israele aveva tutto l’interesse a evitare che le tracce contenute nel suo corpo venissero fuori. Si sarebbe scoperto che erano identiche a quelle che avevano ucciso Rusakov e che quindi c’erano loro dietro la sua morte e non i russi».
“Ecco perché far sparire il cadavere di Green”, rifletté Fossati. «Quindi nella versione ufficiale lui sarebbe un terrorista? Tanto pazzo da uccidere Zorzi agendo da solo? Il tutto per fare un dispetto al suo Paese o per appoggiare i ribelli della striscia di Gaza? Zorzi non aveva detto di appoggiare la politica del governo di Tel Aviv?».
Eva sorrise. Era vero.
In passato, Alberto Zorzi si era schierato più volte pubblicamente a favore del governo israeliano, nella sua politica di repressione contro il terrorismo di Hamas. Il presidente del Consiglio aveva parlato a nome dell’Unione Europea, si era perfino messo contro la Lega Araba e, di fatto, aveva dato una grande mano al governo di Israele.
«Esattamente. Yaniv era il colpevole ideale della morte di Zorzi: ricercato da Israele, isolato, in perenne fuga. Questo era il motivo per il quale era stato scelto».
“E da chi?”.
Quella frase confermava la teoria di Fossati: Yaniv era solo l’uomo su cui qualcuno aveva cercato di far ricadere la colpa.
«Ma la versione vera qual è?», si chiese ad alta voce. «Questa è la versione ufficiale, quella che avrei trovato se avessi avuto il tempo di completare gli esami del DNA. Avrei trovato un ricercato internazionale che era molto arrabbiato con i sionisti e per questo aveva ucciso uno dei migliori alleati di Israele».
Era quella la ragione della morte dei due giovani della Scientifica o c’erano di mezzo i mandanti dell’assassinio del premier? In fin dei conti, per ragioni diverse, sia Israele che i mandanti volevano la stessa cosa: cioè che non venisse a galla la storia del polonio.
Fossati si alzò in piedi per sgranchirsi le gambe. Non ne aveva realmente bisogno, ma voleva verificare la reazione della donna.
Eva rimase immobile, lo sguardo fisso sul muro bianco.
«Mi chiedevi qual è la verità?», proseguì lei. «La realtà è ben diversa. Yaniv non riteneva il suo Paese davvero colpevole di tradimento!».
Fossati la osservò. Lei, come poteva saperlo?
«…Yaniv aveva sempre creduto che il suo capo, un certo Lior Ghadir, non fosse a conoscenza dei dettagli sull’affare di Londra. Non odiava affatto il suo Paese e la storia del tatuaggio al polonio lo dimostrerebbe!».
Fossati scosse la testa. «Posso chiederti una cosa?». Esitò, si rese conto che non conosceva il nome della donna.
«Puoi chiamarmi Eva», lo precedette lei.
«Eva. Come sai tutte queste cose? L’analisi del DNA che non abbiamo completato, il vero nome di Green? E potrei fare decine di altri esempi. Tu sai troppo di questa storia».
Lei si alzò in piedi e lo raggiunse alla piccola finestra. Il sole era alto e si rifletteva sui diamanti di ghiaccio che saltellavano sulla fontana. Erano le dodici e cinquanta.
«È rilevante?», lo sferzò Eva. «La cosa su cui riflettere è un’altra».
«Cioè?». Fossati inarcò un sopracciglio. Ormai aveva del tutto rinunciato all’idea di scappare. Quella donna sembrava troppo importante e, soprattutto, poteva avere ragione: “In alcune circostanze sapere la verità aiuta a salvarsi”. Non poteva fidarsi, certo, ma in ogni caso finché avesse custodito il segreto sul significato del tatuaggio sarebbe rimasto in vita
«Yaniv non odiava il suo Paese. Tutt’altro! Lo amava a tal punto da iniettarsi il polonio 210 in un tatuaggio per lasciare un messaggio!».
Fossati tornò sul letto e si sdraiò con le mani sotto la testa. «Per lasciare un messaggio sul suo assassino. Se troviamo l’assassino troviamo chi sta cercando di togliere di mezzo anche noi».
«Temo non sia così semplice. Il messaggio…».
«E qui torniamo all’inizio!», la interruppe lui. «Tu vuoi sapere cosa significa quel messaggio».
«È questione di vita o di morte… e non in senso figurato», ribadì lei, che in quell’istante ebbe un’illuminazione. Capì cosa aveva in mente l’israeliano, quando aveva strappato le pagine dell’agenda. Il messaggio non era soltanto per individuare lei!
«Hai detto che abbiamo un nemico in comune. Gli israeliani? O i mandanti dell’omicidio di Zorzi? E perché cercano anche te? Chi sei tu?».
Eva sospirò senza voltarsi. Aveva individuato, sul fondo della vallata, una nuvola di neve e un puntino nero che procedeva verso di loro.
La donna scosse la testa e, d’istinto, mise la mano sul calcio del Glock. Non aveva scelta, Fossati non le avrebbe detto nulla nel giro di pochi secondi… cioè tutto il tempo che avevano. Purtroppo aveva ancora bisogno di lui.
Calcolò che potevano disporre al massimo di due o tre minuti. Poi, la grossa auto nera che aveva individuato in fondo alla strada sarebbe stata lì.
«Hai spento il cellulare?», domandò seccamente.
«Sì, poco fa. Quando mi hai chiesto gentilmente di farlo!».
«Dammelo».
Lui obbedì e passò lo smartphone alla donna.
Eva lo aprì, tolse la batteria con un impeto di rabbia e buttò la scheda SIM per terra.
«Ma chi sei tu?», esclamò Fossati.
«Sono la tua unica alleata, per adesso. Alzati, ce ne andiamo».