CAPITOLO 25

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14:55

 

Lorenzo Fossati era un istintivo. Molte delle decisioni importanti, nella sua vita, le aveva prese proprio sulla base di semplici sensazioni. A volte, qualcuno le aveva definite casualità, ma a lui non piaceva pensare che fossero coincidenze.

Quando, mezz’ora prima, una telefonata lo aveva avvisato di ciò che era accaduto nel laboratorio della Scientifica, si era precipitato in via Tuscolana.

Le coincidenze non esistono.

Se qualcosa succede, succede per un motivo.

Le notizie riportate a Fossati per telefono erano contraddittorie e imprecise. Erano però state sufficienti per far scattare ben più di un campanello d’allarme.

Nel giro di pochi minuti aveva ricevuto diverse chiamate. La prima era stata la più traumatica: «Scontro a fuoco. Due tecnici della Scientifica deceduti». La successiva aveva parlato semplicemente di gravi condizioni, senza accennare alla sparatoria. La terza telefonata l’aveva ricevuta sul cellulare quando stava per muoversi verso il laboratorio. Era stata quella più strana e che più lo aveva fatto pensare: «I servizi segreti hanno avocato a sé l’indagine».

Se lo aspettava, ma non così in fretta.

Gli agenti della Scientifica si stavano occupando del cadavere dell’israeliano e le prove trovate in Germania lo collegavano all’assassinio di Zorzi. Una faccenda troppo grossa, troppo importante perché potesse rimanere alla procura penale. Vi erano però ancora molti punti oscuri.

Se da una parte c’era un cadavere con documenti israeliani e una serie di altri elementi che lo mettevano in relazione all’attentato di Monaco, dall’altra ce n’erano alcuni che stonavano decisamente: il polonio, per esempio.

E adesso uno scontro a fuoco nel laboratorio. Un uomo e una donna feriti (o peggio, morti) e che oltretutto conosceva molto bene.

Le coincidenze non esistono. Doveva saperne di più!

Erano vivi?

Fossati lo sperò ardentemente, e mentre ci pensava tutto il resto passò in secondo piano.

Anche se l’indagine era passata nelle mani dei servizi segreti, l’ordine scritto sarebbe arrivato entro qualche ora. Fino ad allora aveva ancora titolo per fare domande.

Arrivò in via Tuscolana poco prima delle tre di quel pomeriggio e parcheggiò la moto nel cortile, proprio mentre due furgoni neri uscivano dal cancello. Da poco aveva smesso di piovere, ma altre nuvole scure sembravano voler integrare la razione di acqua già scaricata sulla capitale.

«Sono il sostituto procuratore». Fossati osservò nelle pupille il giovanissimo piantone e mostrò il tesserino. «Sono atteso nel laboratorio della Scientifica!».

Il ragazzo era immobile nell’atrio d’ingresso, in un corridoio umido e semibuio. Era sudato nonostante l’aria fresca. «Mi spiace dottore, ho ordine di non lasciare passare nessuno!», il suo tono fu impassibile.

Fossati deglutì: «Sono il titolare dell’inchiesta, le dico che mi stanno aspettando!», mentì.

«Temo che l’indagine ora sia di competenza dell’AISE», ribatté il giovanotto senza la minima esitazione.

«È possibile parlare con qualcuno?», chiese Fossati. Era inutile insistere, il ragazzo non lo avrebbe fatto passare.

«Attenda!». Il giovane estrasse un walkie-talkie nero e bisbigliò qualcosa.

«Ho visto i furgoni uscire poco fa, sono già andati via tutti?», si informò, sperando che il giovane rivelasse qualche dettaglio.

«Mi spiace, non ne sono a conoscenza!».

Perfetto. Il modo migliore per evitare che le informazioni trapelassero.

«Ma cosa è successo con esattezza?», insistette Fossati.

«Mi spiace, non ne sono a conoscenza! È una questione di sicurezza nazionale».

Fossati annuì, per nulla convinto.

Mentre con ansia aspettava che dalla radiolina arrivasse il lasciapassare, si guardò attorno. Lo spiegamento di forze dei servizi segreti era discreto, ma comunque visibile a un occhio allenato: in fondo al corridoio un uomo vestito di scuro con una valigetta in mano si dirigeva verso le scale. Davanti all’ascensore altri due agenti in borghese stavano immobili con lo sguardo fisso su di lui. Dalla parte opposta, alla sua sinistra, vedeva due militari in uniforme nera con il mitragliatore abbassato.

Si spostò verso l’uscita e notò che lungo la strada, oltre il muro di recinzione, si era appena fermato un furgone di Canale 9. La stampa cominciava a interessarsi alla cosa? Arianna Manzoni avrebbe fatto un servizio anche su quel caso?

«Illustrissimo!», la voce era quella di Cesare Baldacci.

Fossati si voltò. Dal fondo del corridoio, due uomini venivano verso di lui. Uno era Baldacci ma l’altro…

Frate Claudio?

“Possibile?”.

Per un attimo, prima che l’uomo stringesse la mano a Baldacci e tornasse indietro, Fossati scambiò uno degli agenti per il suo mentore, il religioso che, anni prima, l’aveva accolto in seminario.

Scosse la testa, l’agitazione doveva avergli giocato un brutto scherzo. Si mordicchiò il labbro e osservò Baldacci che saltellava verso di lui. Il soprannome “Pulcinella” era certamente azzeccato anche se lui l’avrebbe sostituito tranquillamente con “buffone”.

«Illustrissimo…», ripeté appena si fu avvicinato.

Fossati tese la mano. «Che succede generale?»

«Ma… purtroppo c’è stato un incidente. Siamo stati costretti a intervenire».

«Mi hanno parlato di due decessi!», sussurrò Fossati.

Baldacci prese sotto braccio il giovane magistrato e lo accompagnò fuori, sotto la tettoia protettiva che si affacciava sul parcheggio.

Davanti a loro c’erano poche auto ferme e aveva ricominciato a piovere. Le gocce disegnavano cerchi concentrici nelle numerose pozzanghere sull’asfalto.

«Purtroppo sono deceduti Valerio Pina e Cécile Cissé», confermò Baldacci. «Li conosceva bene?».

Fossati non fu in grado di rispondere.

Era come se qualcuno gli avesse assestato un pugno nello stomaco.

Li conosceva, eccome.

Prima che riuscisse a metabolizzare la notizia fu necessario qualche secondo.

«So che è un brutto colpo», dichiarò Baldacci. «Se vuole prendersi qualche giorno di riposo, posso parlare io con il procuratore».

«Ma cosa è accaduto esattamente?», provò ancora Fossati.

«Una fuga di gas!».

Stava scherzando? Era davvero convinto che potesse credere a un’idiozia del genere?

Baldacci si strinse nelle spalle, quasi a voler evidenziare una tiepida espressione di rammarico. Non scherzava affatto.

«E Lupatelli?», tuonò. «Voglio parlare con Lupatelli!».

«Non è il solo mi creda…». Baldacci seguì per un secondo la cima di un albero ondeggiare nella pioggia, poi guardò Fossati diritto negli occhi. «Se riesce a sentirlo me lo faccia sapere!».

«Ma non era qui quando… cioè, quando c’è stata la fuga di gas?»

«Non era qui. Adesso, se mi vuole scusare, abbiamo un’indagine da compiere», tagliò corto Baldacci.

Fossati rimase immobile.

Era combattuto. Doveva fare buon viso a cattivo gioco? La situazione era tutt’altro che chiara.

Le coincidenze non esistono. Ogni fibra del suo corpo gli diceva che quella questione era tutta collegata. Zorzi, Green e adesso Pina e Cécile.

Per lui, il rispetto dei ruoli e delle regole erano sempre stati una priorità. Anche grazie a quello aveva ottenuto molti dei successi della sua vita… ma adesso?

Non vedendo nessuna reazione in Fossati, Baldacci rincarò la dose: «Senta, dottore, ho molto apprezzato la sua comunicazione sulle indagini. Le garantisco che gliene sarò riconoscente il prima possibile. Ma ormai questo caso è di nostra competenza. Si fidi di noi!».

Fossati annuì ma fu quasi un gesto meccanico. Pur non essendo per nulla convinto non aveva altra possibilità. Oltretutto, gli serviva tempo per riflettere.

«Dia retta a me…», concluse Baldacci prima di voltare le spalle e rientrare nell’edificio. «Si prenda qualche giorno di vacanza e cerchi di dimenticare il prima possibile. È l’unico modo per sentirsi meglio e per cominciare a seguire presto un altro caso! Chissà, magari con un altro ruolo».

Più passavano i secondi e i minuti, più la rabbia, mista alla tristezza e all’incredulità, si facevano largo in lui.

Doveva lasciar perdere e incassare presto la riconoscenza di Baldacci? Oppure doveva seguire l’istinto?

Mentre sotto la pioggia raggiungeva l’MV Agusta F4 nel parcheggio, il cellulare vibrò nella tasca del giubbotto.

Estrasse il telefono e lesse il messaggio.

 

Alle 17:00 al Tempio di Esculapio. Venga, la prego. Lupatelli.

 

 

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