CAPITOLO 78
Venezia, ore 20:20
Il piccolo cabinato Open Line attraccò al molo in legno e i due occupanti fecero per scendere.
Erano poco distanti da Campo San Fantin, vicino alla Fenice.
Luca Zorzi si alzò in piedi e sfidando la pioggia mise il mocassino lucido sulla scaletta, poi porse il braccio alla moglie per aiutarla a scendere.
Erano vestiti elegantemente, lui in abito nero, papillon, un soprabito impermeabile e un cappello borsalino; lei con un vestito lungo, nero, e le spalle coperte da una stola di pelliccia.
«Signor sindaco, buonasera!», disse una delle maschere del teatro, un giovanotto sulla trentina con capelli e pizzetto rossicci.
Zorzi gli strinse la mano e ringraziò. Lucrezia era due passi dietro di lui. La attese e la prese per mano.
Varcarono insieme l’ingresso nord della Fenice e si ritrovarono catapultati, di colpo, in un’atmosfera settecentesca.
Quella sera andava in scena La traviata, tra le opere preferite di un signore distinto, con la barba, che sostava pensoso in cima allo scalone d’onore. L’uomo era accompagnato da una splendida dama dai capelli castani, immobile accanto a lui.
Luca Zorzi e la moglie erano troppo distanti per vederlo. Attraversarono il foyer e si diressero verso la scalinata, sopra la quale era sospeso un imponente lampadario con cristalli pendenti.
Il sindaco, pur non essendo un grande appassionato di lirica, in quel periodo doveva presenziare a tutti gli eventi mondani. I giornalisti erano sempre presenti e poteva essere una buona occasione per apparire sulla stampa o in TV.
Quel giorno, il comitato politico di Alleanza democratica, con l’avallo di tutti, aveva indetto le primarie, che si sarebbero svolte due settimane dopo. Era un tempo brevissimo per organizzarsi e, da quando era nato il partito, mai erano state fissate in così poco tempo. La situazione, dopotutto, era a detta di tutti eccezionale.
Zorzi e la moglie furono accompagnati al palco imperiale, nel quale si erano seduti re, regine e presidenti. Attraversarono il lungo corridoio ad arco e aprirono la porta. Si immisero nella splendida loggia dalla balaustra dorata e si trovarono sospesi al centro del teatro, sopra la platea e di fronte al palco con il sipario chiuso. Si accomodarono sotto lo splendido rosone l’uno di fianco all’altra, su poltroncine settecentesche color porpora.
Le luci in sala erano ancora accese, la platea e i palchi erano quasi tutti occupati. C’era un lieve brusio. Tutti parlavano a bassa voce, a differenza di Lucrezia. Da quando era salita sulla barca, non aveva aperto bocca. Era sembrata del tutto assente e aveva passato tutto il tempo a guardare prima l’orologio e poi il cellulare.
Pochi minuti dopo aver preso posto, la donna sentì una lieve vibrazione nella borsetta. Il marito la guardò di sottecchi.
In quel preciso istante un uomo entrò nel palco di fianco e sorrise a Zorzi. Il sindaco lo guardò appena, senza riconoscerlo, e anzi, avrebbe giurato che si trattasse di Giuseppe Verdi in persona venuto ad ascoltare la sua opera messa in scena centosessant’anni dopo la prima.
Nel frattempo Lucrezia aveva estratto il cellulare, che ancora stava vibrando. Non disse nulla, si alzò e uscì dalla loggia.
Le luci in sala si spensero e la musica dell’orchestra cominciò a intonare l’aria del preludio.
Luca Zorzi rimase interdetto, indeciso sul da farsi. Doveva restare lì o doveva seguirla? Si alzò di scatto e uscì anche lui.
Il corridoio era deserto e, poco lontano, vide Lucrezia di spalle con il cellulare accostato all’orecchio.
Il sindaco rimase fermo, incollato alla porta del palco, che teneva socchiusa con la mano. Dal quella posizione riusciva a percepire solo qualche frase.
«Va bene. Sì. Non ci serve più!».
Zorzi volse lo sguardo dalla parte opposta, un inserviente stava venendo verso di lui. Se si fosse avvicinato di più Lucrezia si sarebbe voltata e l’avrebbe visto.
«Procedi!», tuonò ancora la moglie. «Il prima possibile!».
Il sindaco decise che non valeva la pena essere notato. Si mosse velocemente e rientrò nel palco imperiale.
L’opera era incominciata. Il sipario era aperto e si vedeva l’elegante salotto della casa parigina di Violetta Valéry. Gli invitati stavano arrivando.
Zorzi si sedette, non del tutto convinto di ciò che aveva udito.
Pur non essendo un grande esperto dell’opera, sapeva che nella prima scena Violetta saluta il marchese d’Obigny e Flora Bervoix. Erano al punto in cui un altro invitato, il visconte Gastone de Letorières, le presenta Alfredo Germont.
Lucrezia Zorzi rientrò in quell’istante e fece un grande sorriso al marito. Sembrava serena.
«Tutto bene?», sussurrò lui. Non sapeva se doveva avere paura della moglie… Ciò che gli aveva riferito l’investigatore su Mirko Živković era la verità?
«Certo!», confermò lei, annuendo convinta. «Non potrebbe andare meglio». Poi prese il libretto d’opera e cominciò a seguire con attenzione.
Luca Zorzi deglutì e rivolse lo sguardo a Violetta. Non si accorse che l’uomo con la barba, sul palco di fianco, non gli aveva tolto gli occhi di dosso neppure per un secondo.