CAPITOLO 36
Roma, ore 22:40
Quando padre Claudio doveva consolare il giovane Fossati per la morte del padre, gli diceva sempre: «Nasciamo soli e moriamo soli. Tutti gli altri sono solo compagni di viaggio, possiamo perderli e ritrovarne di nuovi!».
Fossati non aveva mai capito cosa intendesse esattamente il prete… fino a quella sera.
Si era fermato in una piazza Venezia avvolta nel silenzio e se ne stava a cavalcioni della moto nello spazio riservato agli autobus.
Il freddo era pungente e la città sembrava deserta. Almeno aveva smesso di piovere.
Sul lato sud della piazza le colonne del Vittoriano erano listate di nero. Le luci, che solitamente lo facevano splendere di un bianco abbagliante, visibile fin dal Quirinale, erano state spente in segno di lutto.
Riprese in mano il cellulare.
Non c’erano chiamate.
Strano che nessuno lo avesse ricontattato.
Indugiò qualche secondo, poi richiamò uno dei numeri che aveva già composto due volte.
«Pronto?». Era una donna, sempre la stessa. Parlava con voce stridula e accento straniero.
«Sono il sostituto procuratore dottor Fossati. Mi scusi nuovamente…».
«Non c’è! Dottor Gambino fuori».
«Sì…», indugiò lui. «Questo me l’ha già detto. Mi aveva detto che era a teatro… volevo sapere…».
«Scusa signore. Io non sa. Ti ha già detto, forse teatro».
Era vero, la donna lo aveva già detto. Forse teatro. Peccato che non c’erano teatri aperti quella sera… era lutto nazionale!
«Signora. È molto importante. Ho bisogno di essere richiamato appena rientra!».
«Va bene, io riferisco!».
La domestica attaccò il telefono.
Fossati rimase interdetto.
A una ventina di metri da lui, una grossa vettura nera aveva messo la freccia e si stava fermando sul bordo della carreggiata.
Il sostituto procuratore attese qualche secondo per capire quali erano le intenzioni dell’autista. Stava diventando paranoico?
L’auto rimase ferma, come inchiodata all’asfalto, ma con il motore acceso. Cinque secondi. Dieci. Lo stavano osservando?
Fossati non si fece pregare. Gli pareva di ricordare il titolo di un vecchio film western: Prima spara, poi chiedi chi è. Lui non poteva sparare, non aveva neppure la pistola, però una cosa poteva farla: scappare.
Si infilò il casco nero, ripose il telefono nel giubbotto e partì.
Si mosse lentamente, prima andò incontro alla macchina ferma per cercare di vederla da più vicino, poi girò attorno all’aiuola, e percorse la piazza dalla parte opposta. Procedette per alcuni metri, poi si voltò per verificare dove fosse l’auto.
Era rimasta ferma.
Meglio così.
Uscì da piazza Venezia e accelerò sul fondo lastricato, indeciso sulla direzione da prendere.
Nella sua vita aveva sempre seguito le regole, rispettato i ruoli. Aveva sempre fatto la cosa giusta. Aveva sempre tenuto conto del fattore che a Roma era determinante: la politica.
E adesso cosa doveva fare?
Non c’era modo di parlare con il procuratore.
Senza quasi accorgersene, aveva percorso tutta via del Tritone ed era arrivato a Fontana di Trevi.
Si fermò. Alcuni operai stavano ripulendo il bordo della fontana mentre, poco lontano, il padrone di una pizzeria spazzava per terra cercando di allontanare l’acqua ristagnante nelle pozzanghere.
Fossati distolse lo sguardo, agitato.
Sembrava quasi che tutti i suoi conoscenti si fossero dissolti nel nulla. Una vita per intrattenere relazioni che potevano servirgli al momento opportuno, e adesso che ne aveva bisogno non riusciva a parlare con nessuno.
Cazzo.
Doveva ragionare. Si doveva preoccupare? Era possibile che chi aveva azzerato una squadra della Scientifica nel giro di un pomeriggio avesse anche lui come obiettivo?
Certo, ma perché?
Rimase immobile con il casco sulla testa e il motore acceso e continuò a riflettere.
Proprio sotto il suo sguardo, una turista grassoccia stava agitando la gonna, impersonando Anita Ekberg nella Dolce vita. Il fidanzato, munito di una grossa Nikon con teleobiettivo, impersonava a sua volta Federico Fellini intento a immortalare le sue forme tondeggianti.
Fece scorrere mentalmente tutti gli elementi che aveva in mano per cercare di capire: Green, polonio, Zorzi, Pina, Cissé, Lupatelli.
Erano tutti collegati, tranne due, il polonio e quel maledetto disegno sul torace di Green.
E se il fulcro della questione fosse stato proprio quello? Se il motivo di tutte quelle morti fosse stato proprio il tatuaggio e lo strano inchiostro utilizzato?
Ripensò alla traduzione: “Ciò che cerca il cigno grigio è dove Elia sfidò i profeti”. Il Cigno Grigio. The Grey Swan.
Estrasse dalla giacca il cellulare e cominciò a digitare gli indirizzi dei siti a cui aveva già provato a connettersi dall’ufficio. Li provò tutti: punto com, punto net, punto org, punto eu.
Niente.
Esattamente gli stessi risultati che aveva già visto: un gruppo heavy metal, una signora di mezz’età, una software house che si occupava di antivirus e una pagina completamente nera.
“Sta’ calmo. Ragiona”.
Il respiro si fece affannoso. Aprì la visiera. Doveva parlare con qualcuno.
Chi altri chiamare?
Provò con Di Palco. Non lo conosceva bene, era il marito della nipote di Antonio, un caro amico. Era l’addetto stampa della coordinatrice dei Circoli di Alleanza democratica.
«Pronto?». La voce era di un bambino.
«Sì, pronto!», indugiò Fossati. «C’è il tuo papà? Me lo puoi passare?»
«Sì c’è! Chi parla?».
Fossati rispose e poi attese interminabili secondi. Un vociare indefinito nella cornetta, poi di nuovo la voce del bambino.
«Il mio papà non c’è!». Sembrava che tutti lo scacciassero come un appestato.
Un altro buco nell’acqua.
“Calmo. Sta’ calmo”.
Chi altri poteva chiamare?
Stella? Stella Rosati? La figlia del ministro dell’Interno? L’aveva vista quella mattina sul Ponte Sant’Angelo e avevano scambiato qualche battuta.
Era anche lei un magistrato. Qualche volta avevano lavorato insieme ma non erano così intimi.
Poteva chiamarla così tardi? E poi cosa le poteva chiedere? Non poteva certo dirle: «Secondo te qualcuno vuole ammazzarmi? Che devo fare?».
Respirò a fondo. Davanti a lui, un operaio del Comune si era immerso fino alle ginocchia nella fontana e stava raccattando le monetine che i turisti avevano buttato nel corso della giornata. Tutti volevano ritornare nella città eterna, e lui, forse, avrebbe dovuto scappare.
Si voltò e scrutò la strada da parte a parte.
Nessuna auto sospetta. Forse era paranoico. Ma l’istinto gli diceva che era in pericolo.
“Fanculo”.
Compose il numero di Stella Rosati e attese.