CAPITOLO 65
Roma, ore 10:00
La conferenza dei capigruppo era stata convocata per le dieci di mattina. Con la poltrona di presidente del Consiglio dei ministri vacante non c’era praticamente nulla di cui discutere. Nonostante ciò, però, sarebbe stata una delle riunioni più affollate dell’anno.
Pochi minuti prima che il campanile della chiesa di Sant’Ignazio suonasse, gli esponenti del Blocco di centro cominciarono ad arrivare alla spicciolata, seguiti da quelli del Fronte autonomista del Nord e quelli del secondo partito, il Movimento popolare repubblicano.
Tutti, dal primo dei deputati all’ultimo dei giornalisti che assediavano la sala stampa, attendevano notizie.
Mary Capraro di Alleanza democratica arrivò poco dopo, accompagnata da una sparuta schiera di segretari e assistenti. Aveva cinquantotto anni, era leggermente sovrappeso, e qualche capello bianco spuntava qua e là dallo chignon. Nel complesso poteva dire di essere ancora una donna bella e, cosa che le premeva di più, potente. Ciò che stava per compiere davanti agli esponenti degli altri partiti ne era una prova.
«Non so ancora nulla!», si schermì alzando le braccia, mentre entrava nella sala. In corridoio, un drappello di giornalisti e fotografi le era rimasto rumorosamente alle calcagna ma non sembrava accontentarsi delle sue parole. «Quello che è certo è che in AD non si dà nulla per scontato. Le primarie sono l’unico mezzo che accettiamo per individuare il nuovo leader!».
La Capraro sorrise e, aiutata da una solerte segretaria, si infilò velocemente nella sala riunioni chiudendosi la porta alle spalle. I mugugni della stampa continuarono a lungo ma i parlamentari all’interno della sala riunioni, tutti seduti attorno a un tavolo ovale, non vi fecero più caso.
Tommaso Signorini, omone stempiato di mezza età appartenente al Fronte autonomista del nord, tamburellò con i polpastrelli sul legno laccato e poi, invece di salutare, esordì con una battuta: «Non si dà nulla per scontato? Non credo che il tuo amico Rosati la pensi allo stesso modo!».
La Capraro non rispose. Raggiunse il tavolo con due falcate e vi appoggiò sopra un mucchio di fogli e una pila di quotidiani freschi di stampa.
«È vero che questa sera dalla Manzoni, Luca Zorzi farà una dichiarazione di guerra?», continuò Signorini.
“Bene”, pensò lei. Gli articoli che i suoi assistenti avevano raccomandato sulla stampa amica avevano funzionato. Il nome di Zorzi era già sulla bocca di tutti. Se le cose andavano come aveva previsto, la trappola sarebbe scattata puntale.
«Questo dovresti chiederlo a lui, Tommaso caro». La Capraro fece una pausa. Giochicchiò a lungo con la penna e poi proseguì: «Perché, tu cosa ne pensi di Zorzi? Per il tuo partito sarebbe sicuramente positivo non ritrovarsi con Rosati!», lo sferzò, tagliente.
Signorini annuì. In effetti la Capraro aveva ragione: Zorzi era giovane e sveglio e, cosa più importante, ancora distante dalle “cricche” romane. Rispetto a Rosati, poi, era una persona con la quale si poteva parlare e che, forse, si sarebbe anche lasciata tirare per la giacchetta.
La conversazione continuò per diversi minuti e, dopo poco, anche gli altri capigruppo si convinsero: Luca Zorzi era più malleabile di Rosati.
Appena prima delle undici la riunione era terminata.
Mary Capraro attese che tutti fossero usciti e poi tornò in Transatlantico. Estrasse il cellulare e compose un SMS.
Il dado è tratto, ora tocca a te!
Poco distante dalla Capraro, dalla parte opposta del lungo e imponente salone, un esponente del Partito popolare, che negli anni aveva cambiato un po’ tutte le casacche, fece la stessa cosa. Il messaggio aveva un destinatario differente e un tenore opposto:
La puttana ti vuole fare le scarpe. Ti conviene fare qualcosa prima che sia troppo tardi.