CAPITOLO 57
Roma, ore 08:00
Come gli era stato ordinato, alle otto in punto il fattorino bussò alla porta di una delle stanze dell’Hotel Excelsior di Roma.
Era la suite reale, la più grande camera d’albergo in Europa. Si sviluppava su due piani con una superficie vicina ai mille metri quadrati. Al suo interno, per dare il miglior servizio agli occupanti che spendevano tra i ventiduemila e i trentasettemila euro a notte, si trovavano lussi e comodità di ogni genere: un piccolo teatro, una biblioteca fornitissima, sei camere da letto, una cantina di vini e una sala cinematografica da otto posti. C’erano anche sette splendide terrazze affacciate su una delle più importanti arterie della capitale.
Uno dei due ospiti andò svogliatamente ad aprire la porta.
Aveva profondi occhi blu, una fronte rugosa e capelli ricci striati d’argento. Indossava una vestaglia di seta rossa, un pigiama nero, anch’esso di seta, ed era scalzo.
«Il signor...?». Un fattorino stringeva una busta sigillata.
«Dia a me!», disse l’uomo, brusco. Poi lo congedò chiudendogli la porta in faccia.
Nel frattempo, anche l’altro occupante si era avvicinato a un grande tavolo in mogano, sistemato al centro di una stanza circolare con una cupola affrescata su tinte d’azzurro.
Aveva una vestaglia uguale, come tutto il resto, a quella del fratello, ma era nera. Anche i volti dei due anziani erano identici: erano gemelli.
Avevano un’età indefinita ma un aspetto rubicondo e sembravano in splendida forma fisica.
Uno dei due, che a volte si faceva chiamare Hans, due sere prima aveva incontrato Carlo Maria Rosati in una spa esclusiva della capitale.
Il politico sembrava aver recepito il messaggio.
Adesso bisognava fare in modo che la “transizione” andasse nella giusta direzione.
«È arrivata?», si informò quello con la vestaglia nera. Stava uscendo dalla stanza da letto in compagnia di due ragazze seminude.
«Sì. In questo momento», gli rispose il gemello. «Cominciamo a dargli un’occhiata!».
Aprì la busta e ne estrasse due fascicoletti dattiloscritti identici, con una copertina blu e una quarantina di pagine in bianco e nero. Ne porse uno al fratello e tenne l’altro per sé.
Si accomodò sul divanetto e cominciò a sfogliarlo. Il titolo prometteva bene: Proposta di modifica della direttiva 11.110 sullo sviluppo economico.
Anche il fratello, rimandate le ragazze in camera, cominciò a leggere avvicinandosi alla luce di una finestra che si affacciava su via Veneto.
Diversi minuti dopo Hans si alzò in piedi: «Cosa ne pensi?»
«Mi pare vada abbastanza bene. Hanno fatto un buon lavoro. Con quello che paghiamo i consulenti, però, potevano fare meglio!», rispose mentre osservava il traffico del mattino che scorreva sotto le duecentottantasette camere e le trentadue suite dell’hotel. «Comunque, risolve il problema».
«Nella busta ci sono anche le lettere per Rue de la Loi, pronte per la firma!».
«Benissimo, direi che possiamo farle avere ai passacarte», ghignò il fratello.
«E domani cosa pensi succederà?», incalzò Hans.
«Ci ho pensato. I processi democratici, se così possiamo chiamarli, sono strani. Anche se è presto credo che bisognerà anticipare il passo successivo».
Il gemello fu d’accordo. Appoggiò il fascicolo sulla superficie scabra di un mobile ed estrasse dalla busta una serie di fogli prestampati. Preparò i plichi, li sigillò personalmente con la ceralacca e incise il simbolo del compasso e della squadra riportato sul suo anello. Poi chiamò la reception.