CAPITOLO 67
Ore 17:50
L’Or de Provence era una trattoria spartana nei pressi dell’università di Aix.
Nonostante non fossero ancora le sei del pomeriggio, il professor Armin Schollen aveva insistito per parlare davanti a un buon bicchiere di vino. Fossati ed Eva avevano annuito e l’avevano seguito in quel locale rustico con mattoni a vista, tendine a quadretti sulle finestre e tavoloni in legno massiccio.
«Professore, sarò diretto: ci risulta che lei, mercoledì scorso, abbia incontrato Alberto Zorzi», esordì Fossati senza giri di parole.
Si era seduto su una sedia di fronte a Schollen, che invece aveva occupato l’intera panca addossata al muro. Dietro di lui, appesi a una mensola, c’erano antichi utensili da cucina lasciati in esposizione.
«Sì. Mi ha telefonato un assistente, dicendomi che il presidente avrebbe avuto piacere di incontrarmi».
«Lei cosa gli ha risposto?»
«Io abito a Füssen, vicino Monaco. Nel pomeriggio avevo presentato il mio libro in una piccola libreria di Schwangau. Gli ho detto che non c’era problema e che anzi mi faceva piacere. Sapete, la relazione accompagnatoria della direttiva 11.110 è completamente ispirata al mio libro!».
«Cosa voleva da lei?», tagliò corto Eva.
«Voleva conoscermi. Ammirava il mio lavoro, sapete?». Il professore lo disse mentre osservava il secondo bicchiere di vino vuoto.
Visto da vicino, Schollen ricordava vagamente un prete di campagna. Posato, riflessivo, con i capelli candidi come la neve e grossi occhiali con lente bifocale. Si muoveva lentamente, a volte la mano gli tremava per il Parkinson, e continuava a girarsi verso la porta.
Mentre lo guardava, Fossati si domandò se fosse del tutto sobrio e se gli facesse bene bere ancora. Poi incrociò lo sguardo della padrona del locale, dietro il bancone, e le fece cenno di portare un’altra caraffa di vino rosato. «Non si offenda, professore, ci sembra un po’ strano che il presidente Zorzi si sia mosso da solo, di notte, solo perché ammirava il suo lavoro…».
«Qual è la vera ragione?», l’interruppe Eva, sovrapponendosi a Fossati.
Schollen la guardò e non rispose. Puntò gli occhi arzilli dritti sul magistrato e replicò con una domanda: «Perché siete così interessati alla visita di Zorzi?»
«Perché, come saprà, il giorno dopo è stato ucciso!», chiarì il PM.
Il professore si lasciò cadere sullo schienale della panca e giocherellò con il piccolo calice. «Le ho già detto prima, signor Fossati, che Zorzi non è stato ucciso per quello che vi ho illustrato nella mia conferenza. Ciò che vi ho raccontato è semplicemente come stanno le cose. Molti conoscono il problema del signoraggio, molti ne parlano e non per questo vengono uccisi».
Eva si mordicchiò le labbra osservando l’anziano professore, chiaramente reticente. Non le era simpatico, se avesse dovuto usare una sola parola per definirlo, avrebbe scelto “narcisista”. Sicuramente, era uno che credeva che gli altri pendessero dalle sue labbra. Sempre e comunque. Pensava davvero che Zorzi si fosse mosso di notte solo per conoscerlo o che il legislatore europeo avesse attinto a piene mani dal suo libro? Eva era sicura di no: il professore nascondeva qualcosa, ma non sapeva dire cosa.
«Guardi qui!». Fossati aveva estratto le stampe contenenti la lista di Zorzi. Mostrò il penultimo foglio, quello in cui c’era il nome di Schollen. «È lei, questo. No?».
Il professore rimase per un secondo in silenzio a contemplare la lista. «Che cos’è?», chiese infine.
«Speravamo potesse dircelo lei», l’apostrofò Fossati.
«Massoni. Nobiltà Nera!», rispose asciutto lui.
Eva inarcò il sopracciglio. Le venne in mente la breve biografia letta su Schollen la sera prima: “Conosciuto anche per il saggio Un ex massone, pubblicato nel 1999”.
«Io non sono più tra quella gente. Da molti anni, ormai».
«Chi sono?».
Schollen guardò meglio i dieci fogli che Fossati gli aveva messo davanti. Li osservò uno a uno, senza dire nulla.
«Non è mica reato essere massoni, può dirci la verità», osservò Eva, vedendo che il professore rimaneva in silenzio a contemplare la lista.
«Cos’è questa lista?», provò a ripetere Eva.
«È vero», mormorò il professore guardando la ragazza e subito dopo la porta chiusa del locale, «la massoneria è una libera associazione che condivide ideali di moralità e che crede nell’esistenza in un essere supremo: il Grande Architetto dell’Universo. Non questi della lista però. Non tutti sono uguali. Oggi, accanto alle logge massoniche serie e oneste, ce n’è tutta una serie interessata, purtroppo, più agli affari. Non sono veri massoni e io non mi presto più da tempo a questo gioco!».
«Prima parlava di Nobiltà Nera. Cos’è?».
«Avete ascoltato la mia relazione questo pomeriggio?».
Fossati annuì.
«Allora non avete bisogno di ulteriori spiegazioni! Vi siete domandati di chi sono le banche che creano il denaro dal nulla. Chi governa i processi economici. Chi decide quando c’è recessione o crescita? Chi decide se c’è la crisi? Chi, soprattutto, sta accumulando l’oro e le ricchezze del mondo?».
Eva si lasciò andare a un gesto di disappunto. Evidentemente non condivideva quanto stava dicendo il professore. Le sembrava di leggere, per l’ennesima volta, un sito Internet che parlava di cospirazioni. Si stupì che quell’uomo fosse stato professore a Oxford. Forse conservava ancora la fama, ma evidentemente doveva avere perso il senno.
«Quindi questi nomi sono tutti appartenenti alla loggia della Nobiltà Nera?».
Schollen scoppiò in una risata fragorosa. Una cameriera grassottella con un grembiule fru-fru appoggiò un vassoio sul tavolo. Vuotò la brocca di vino nei bicchieri e appoggiò i piatti con le crêpe davanti ai tre avventori.
«Non avete capito nulla!», rise il professore, che ancora una volta osservò l’ingresso. «Non esiste una loggia chiamata Nobiltà Nera. Li potreste chiamare anche Illuminati. Ma non esiste un elenco. Sono un impero invisibile composto da tredici famiglie che lavora silenziosamente da secoli. Questa è la causa delle vostre incertezze: loro si muovono in silenzio, alle nostre spalle. Si tratta di una congiura a tutti gli effetti, che ha lo scopo di sovvertire l’ordine democratico. È per tale ragione che Manly P. Hall, un massone di trentatreesimo grado, li chiamava “Ordine del Silenzio”. Ma non sono veri massoni, pensano solo agli affari. Ne usano i rituali ma hanno perso di vista lo scopo ultimo: il perfezionamento dell’individuo. Nel linguaggio simbolico i riti servono per la costruzione dello spirito, sapete?»
«Perché ci sono tre punti di domanda accanto al suo nome?», lo interruppe Eva.
«Perché io non ne faccio più parte. Io non mi mischio più con quella gente. Li conosco bene, ma non faccio più parte dei Tredici. Mi ero stancato di fare il burattino. Tutti noi…». Il professore fece un grande gesto circolare con la mano. «Tutti noi, chi più chi meno, siamo solo burattini!».
Fossati assaggiò la crêpe al prosciutto e formaggio e poi decise che era tempo di chiarire una volta per tutte che cosa il premier fosse andato a fare da Schollen. «Torniamo a Zorzi. Cosa voleva da lei?»
«Ve l’ho detto. Voleva conoscermi!».
“Bugiardo”. Eva non disse nulla ma la ragione che aveva spinto Zorzi a uscire da solo e di notte doveva essere per forza un’altra.
«Voleva scambiare qualche opinione sul suo libro?». Fossati sembrava accondiscendente.
«Oh… no di certo. Lui conosceva bene la situazione. Sapeva come risolverla».
«Allora era venuto a parlarle della lista? È possibile che sia stato ucciso per quella lista? Prima diceva che non c’è un elenco dei…». Il PM non sapeva come proseguire. «…Diceva che non esiste un elenco di queste tredici famiglie che tirano i fili del mondo».
Armin Schollen scosse la testa. «Esistono decine di elenchi. Nessuno è completo e in nessuno troverete i nomi dei Tredici. Ricordi che la parola d’ordine è silenzio». Il professore picchiettò con l’indice sulla lista. «Questo elenco è una seccatura, niente di più. Non si uccide per così poco! Se proprio è necessario, si uccidono le persone nell’elenco, gli anelli deboli che si sono fatti scoprire!».
«Quindi lei crede che il motivo della morte di Zorzi non sia questa lista?»
«Assolutamente no. Cercate in giro. Ne troverete molte di liste simili, magari con gli stessi nomi. Io non so perché Zorzi è stato ucciso… ma di sicuro non per questo. Ve l’ho detto, io conosco bene i Tredici, ti lasciano parlare finché non sei pericoloso e poi… zac!». Il professore fece un gesto con la mano, mimando un coltello che taglia la gola.
Era la seconda volta che diceva di conoscere i Tredici. Per essere un segreto così importante non lo custodiva poi così gelosamente. Forse era quello il motivo per cui continuava a guardare la porta.
Se non fosse stata seduta di fianco a lui, Eva avrebbe sorriso. Narcisista. Quell’uomo non poteva fare a meno di rivelare che lui li conosceva bene, i Tredici. Ciò nonostante nascondeva qualcosa. Ne era certa.
«Prima diceva che Zorzi era informato sul problema del signoraggio e sapeva bene come risolverlo».
Armin Schollen sospirò. Guardò ancora l’ingresso, quasi avesse paura che, prima o poi, qualcuno sarebbe entrato per farlo tacere per sempre. «Va bene, ve lo dico, tanto ormai è troppo tardi».
Eva rimase in silenzio in attesa della sua nuova rivelazione, sicura che, con ogni probabilità, sarebbe stata l’ennesima menzogna.
«Zorzi voleva il mio nome. Vi sembrerà strano, ma il mio nome conta ancora qualcosa, sapete? Voleva che figurassi come relatore del decreto attuativo della direttiva!».
«Il decreto attuativo?»
«Sì. L’ultimo atto. Quello che, secondo lui, avrebbe risolto il problema una volta per tutte!».
“Il nome di un ubriacone su una legge così importante?”, pensò Eva.
«E cosa diceva il decreto?». Fossati, a differenza di lei, sembrava incline a credergli.
Il professore scosse la testa. «Non lo so davvero. Zorzi chiese la mia disponibilità a revisionare un testo che era quasi pronto, redatto, tra l’altro, da un mio ex allievo. Un certo Jean François Defour del Segretariato Generale del Consiglio dell’Unione Europea».
«Lei cosa rispose?»
«Cosa avrei dovuto rispondere? Lo ringraziai per l’onore ma dissi che prima di accettare volevo leggere il testo».
«Ebbe modo di leggerlo?»
«No di certo. Zorzi non lo portò con sé. Disse che la settimana successiva, questa settimana, sarei dovuto andare a Bruxelles da Defour, che mi avrebbe fatto leggere, in privato, tutti gli articoli. Disse che era un’idea rivoluzionaria».
«Ma lei, questa settimana, non è andato a Bruxelles!», commentò Eva, indicando il tavolo al quale erano seduti.
«Evidentemente no. Pare che Jean François Defour si sia buttato dalla finestra del suo ufficio. È ancora vivo ma sembra non sia in grande forma… mentre Zorzi è morto». Il professore allargò le braccia. «Credo che l’offerta sia scaduta ormai… e io sono qui con voi!».
Fossati rimase impassibile, in silenzio. Forse il professore, consapevolmente o meno, aveva centrato il punto. «Andiamo!», tuonò, alzandosi in piedi.
La ragazza lo squadrò come se fosse un marziano. «Dove?»
«Ogni tanto qualche idea viene anche a me».