Ballo di carnevale
In "La Stampa", 7 maggio 1934, col titolo Un ballo. Fu poi ripubblicato, col titolo che ha nella presente raccolta, in "Il Mattino", 7 ottobre 1934. Non si registrano varianti significative tra le due redazioni.
"Quell'anno, non s'era vista un'ala nel cielo e la mia prima età era morta. Mi rimaneva ancora un'altra età: il tempo per essere onesti, per essere veritieri, e soprattutto semplici io l'avevo ancora. Ma una parte della mia vita era terminata, uno dei miei occhi s'era chiuso per sempre." La conclusione de Il nonno, un racconto autobiografico del '34 (inserito nella raccolta In cerca di un sì, Catania, Sem, 1939) annuncia l'opzione per un'etica e una poetica oneste e vere, e coincide col primo atto ufficiale di dissenso dal regime. Nei primi mesi del '34, dopo la pubblicazione di Singolare avventura di viaggio, i rapporti tra Brancati e gli organi ufficiali della cultura fascista s'erano andati rapidamente deteriorando. Il vice direttore di "Quadrivio", Luigi Chiarini, aveva compreso quanto precisa fosse la condanna del regime nella vicenda dei due cugini divenuti amanti a Viterbo e così, dalle pagine del settimanale romano, aveva espresso la sua censura, che preludeva il sequestro del libro: "Nel libro di Brancati [] c'è, secondo noi, un errore fondamentale, ed è quello di aver creduto di far divenire complicato problema morale un tristissimo caso di lussuria. Per questo Brancati ha dovuto forzare la mano e cadere nel falso, nell'intellettualistico. E, infatti, la sensualità di questo famoso uomo d'azione, di questo povero Enrico, non è altro che una impotente cerebralità" ("Singolare avventura" di Vitaliano Brancati, 7 gennaio 1934)
All'attacco di Chiarini, condotto in nome della concezione gentiliana di un'immanente moralità dell'arte, lo scrittore risponde con un coraggioso atto di indipendenza intellettuale: rifiuta l'incarico di cronista offertogli dal Ministero della Cultura Popolare, invia una lettera di dimissioni al direttore del giornale motivandole, con trasparente metafora, colla necessità di intraprendere un viaggio ("Caro Direttore, a un certo punto della vita, bisogna fare un viaggio, breve o lungo non importa. Anch'io seguirò questa legge e in ottobre mi imbarcherò [] Spero, in questo viaggio, di scoprire un'altra America") Ritorna così in Sicilia, nella terra che gli si presenta come luogo necessario e insostituibile di revisione e ripensamento. Tornato nella sua isola, scrive gli Anni perduti, che è stato definito il primo romanzo "dell'opposizione cosciente", dà inizio a uno studio dei miti e a un sondaggio dei costumi della provincia (la noia, l'ansia d'evasione che s'esaurisce nel progetto), approfondisce la tematica antieroica enfatizzando la propria disposizione alla satira, precisa il proprio interesse per il comico.
Sulla scia delle osservazioni bergsoniane (che gli erano familiari fin dagli anni della formazione universitaria, come appare dalla sua tesi di laurea, Federico De Roberto critico, psicologo e novelliere, discussa a Catania nel '29) lo scrittore illustrerà molti anni più tardi la funzione del comico in una società asservita al dittatore: "Il giovane cade in una crisi profonda. La società, di cui fa parte, gli si presenta in forma mostruosa, addirittura da incubo [] Se il giovane è un artista, al problema di come esprimere la sua protesta politica contro la società, si aggiunge quello, per lui forse più grave, di come entrare in rapporti con lei, rapporti di narratore coi fatti da narrare, in una parola d'artista con la sua materia. Egli osserva con mente tornata chiara le persone che gli stanno intorno. Sono evidentemente e clamorosamente serve [...]. Il giovane, o l'uomo maturo ch'egli sia diventato, noterà, questa volta con distacco, quanto di automatico, quanto di marionetta, di fantoccio, è nei suoi vicini. E questa volta potrà ridere. La sua più o meno modesta missione di scrittore comico è nata" (Appunti sul comico, in "Corriere della Sera", 31 ottobre 1952, ora ne Il borghese e l'immensità, cit.)