Canto di negri

In "Pan", 1o febbraio 1934.

E' il più importante dei racconti "di pensione", composti nel periodo del primo soggiorno romano, in cui si scrutano azioni e reazioni di un aggregato umano che camuffa nella frenesia dell'azione permanente il proprio sradicamento. Scrive Sipala: "La situazione topologica del soggiorno in città è la "pensione", come luogo di incontri non del tutto provvisori e quindi tale da generare un ventaglio di casi, in cui i personaggi, ciascuno segnato da manie, caratteri, problemi personali si accostano e convivono, amandosi-odiandosi, per prendere poi altro corso o per seguitare la "routine" del loro destino." Rispetto ad Arrivo in città, in questo racconto lungo i personaggi presentano maggiore caratterizzazione psicologica, mentre la problematica riprende proposizioni ed ipotesi di Singolare avventura di viaggio (Milano, Mondadori, 1934), riproponendo il fallimento dell'etica vitalistica.

La filosofia dell'azione Brancati stigmatizzerà più tardi, in molte roventi pagine: "Conosco minutamente il sapore che aveva nel '27, per un giovane di vent'anni, portato alla meditazione, alla fantasticheria e alla pigrizia, il riscaldarsi per un uomo violento; il credere che stesse per nascere una nuova deliziosa morale il cui bene era agire e il male dubitare. Aveva il sapore di un bicchiere di vino."

L'ascolto di una musica, di un canto di negri, appunto, (che qui assolve la medesima funzione strutturale del canto "lento e triste" di un pastore, udito dal protagonista di Singolare avventura di viaggio), introduce una pausa di quiete, di "immobilità cupa, fissa, attirante", che turba il ritmo frenetico della comunità, introducendo nella morale vitalistica la carica irriducibile e dirompente del Logos, della riflessione; e cominciano a farsi strada le domande sul "senso" della vita. Lo squilibrio si traduce ancora in azione distruttiva, in morte, in violenza, in omicidio: "La microsocietà della pensione è stata dunque investita, in un rigurgito di passioni sepolte," prosegue il critico "dall'onda del dolore secolare espresso dal canto dei negri; e la morale fondata sull'ottimismo ha mostrato, ancora una volta, le sue crepe." La forza centrifuga di questi campi tematici rispetto ai fantasmi ideologici dominanti è notevole e trova espressione in una geometria di significanti alieni dai modelli letterari egemoni degli anni Trenta. Brancati procede infatti smontando la griglia letteraria basata sul vocabolo prestigioso tendente al declamato alto (di cui fornisce anzi exempla parodici nell'oratoria del professor Toni), per rifugiarsi in un tono minore, dimesso e di più frugale concretezza sul piano sia lessicale che sintattico, esprimendosi soprattutto con una tecnica elencativa e accumulativa che consolida il livello medio della prosa, aderente agli ambienti e alle storie che racconta.

Negli anni Trenta la narrativa italiana presenta, nelle opere più attente agli oggetti morali e ai segni della vita quotidiana, uno stile disadorno e spesso scialbo. La scrittura di Brancati conserva invece la sua qualità peculiare nell'eleganza e nella presenza di accensioni metaforiche che la preservano dalla sciatteria e dal grigiore; la sua grana formale rivela infatti, nonostante la colloquialità dei dialoghi e l'attenzione ai dettagli, una sapiente dosatura degli strumenti dell'ars rhetorica. Si vedano, a titolo esemplificativo, i brani descrittivi, ritmati in membri di natura uniproposizionale, disposti paratatticamente per asindeto o melodicamente collegati per polisindeto e costituenti una serie di strutture isometriche, dove si evidenzia l'uso del sintagma appositivo (con+sostantivo concreto), fruito a scopo prevalentemente euritmico.

 

Sogno di un valzer e altri racconti
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