Lo straniero scontento
(Nella tasca di uno straniero, rimasto morto in uno stradale di campagna, è stata trovata questa pagina di diario che testimonia come il suo autore non appartenga a una società felice.)
Tutti ricordano le parole di Leopardi nel Cantico del Gallo Silvestre: "La sera è comparabile alla vecchiaia; per lo contrario, il principio del mattino somiglia alla giovinezza: questo per lo più racconsolato e confidente; la sera trista, scoraggiata e inclinevole a sperar male... Ma siccome i mortali, se bene in sul primo tempo di ciascun giorno riacquistano alcuna parte di giovinezza, pure invecchiano tutto dì, e finalmente si estinguono; così l'universo, benché nel principio degli anni ringiovanisce, nondimeno continuamente invecchia."
Questa considerazione mi torna spesso alla mente, e la applico, piuttosto che all'universo e all'uomo in particolare, al succedersi delle generazioni.
Ogni giorno, l'umanità ha i suoi ventenni, e in essi ringiovanisce, ma col progresso del tempo ringiovanisce sempre di meno, sicché avere vent'anni significa sempre di meno essere giovani.
E' stato già osservato che i figli dei vecchi non hanno la vitalità, forza, impeto dei figli dei giovani: bambini di cinque mesi, nati da un padre di cinquant'anni, portano, nell'aria comune e propria alla loro età, un'ombra singolare di stanchezza, un che di perplesso, incerto, rattenuto. Così accade agli uomini in generale che, sebbene figli dei loro genitori, sono tuttavia figli dell'umanità, e di un'umanità sempre più vecchia.
Naturalmente questo discendere verso una generale vecchiezza si compie assai lentamente, come il raffreddarsi del sole che, pur dirigendosi verso la sua morte, conta i secoli tanto diversamente da noi che spesso, dopo estati sopportabili e miti, ne ha di ribollenti e quasi feroci.
Posso dire sinceramente che ho conosciuto un solo vero ragazzo: mio nonno. Soltanto con lui ho veramente giocato, soltanto con lui la mia fanciullezza è riuscita ad esprimersi, a farsi capire a sua volta.
Ho poi conosciuto un giovane: mio padre. Nella casa in cui abitiamo, le anse delle porte possono testimoniare che soltanto lui le ha tirate con vigore; la chitarra deve a lui le sue vibrazioni maggiori; gli specchi lo vedono passare in fretta, anche oggi che ha superato i sessant'anni, e gli rimandano un'immagine coi capelli neri negli occhi incuranti di specchiarsi. Non penso di esser meno onesto di lui, ma fra lui e me c'è questa differenza: che egli crede nella punizione dei reprobi e io ci credo di meno; ch'egli sbraita contro i ladri, come se ciascuno di costoro gl'inciampasse addosso, ed egli se li sentisse camminare tutti sul piede, mentre io conosco tanti ladri, ne accetto la compagnia, e non accade mai che essi mi diano la destra. Nell'onestà di mio padre c'è più furore giovanile. La goccia di sangue, che si partì per generarmi ventinove anni dopo quella che aveva generato lui, non conteneva più la capacità di gridare e scaricare pugni sul tavolo (se non in rarissime occasioni)
I primi uomini maturi in cui mi sono imbattuto sono stati i miei coetanei al tempo in cui io avevo vent'anni. Erano gravi, circospetti e dirigevano il loro entusiasmo come un cane di punta verso, non dirò la preda, ma un obbiettivo pratico. Poco tempo dopo, sui venticinque anni, molti di essi cominciarono a brigare per farsi nominare cavalieri della Corona e subito dopo cavalieri ufficiali.
Il giorno in cui ho compiuto trent'anni, molte persone ne hanno compiuto venti. Io le ho conosciute, e con questo posso dire di aver conosciuto finalmente dei vecchi. Che noia, la loro compagnia! Che diavolo bisogna fare? Che diavolo bisogna dire? Si può ridere o no? E' possibile che la loro mente, alle undici del mattino, prepari quelle condizioni particolari di svogliatezza e tranquillità per cui stasera potranno addormentarsi? Non che siano deboli fisicamente. Sono anzi abbastanza robusti a vedersi. Ma i loro muscoli di sciatori e nuotatori portano velocemente sulla neve o sul pelo dell'acqua, e talvolta trattengono per un minuto sul fondo del mare, un essere, un modo di pensare e sentire reso quasi mancante da una lenta estenuazione.
Delle donne non parlerò... Posso dire soltanto che io mi sono innamorato, unica volta nella mia vita, e questo è accaduto nel salotto di un mio amico. Davanti al ritratto di una ragazza diciassettenne, per due ore io ho perduto letteralmente la testa. Il cartoncino ingiallito e dilavato mostrava una donna di una specie così rara ai nostri giorni che io trasalii nel peggiore dei modi.
Gli occhi di quella donna avevano la forza e la purità che oggi può trovarsi solo negli occhi di una bambina di otto anni, se non che accompagnati da una umana dolcezza che questa non può mai possedere. Levatisi improvvisamente sotto due grandi archi di sopracciglia, erano pronti a chinarsi, e fra poco certo si sarebbero chinati; sicché dopo aver guardato quel ritratto, si tornava a guardarlo con trepidazione, come temendo di trovare il bellissimo viso già con le palpebre abbassate.
Un velo nero, stirato e sospeso orizzontalmente sulla testa, gettava un'ombra leggera sulla fronte ampia e serena e sulle gote di cui pareva estenuare il contorno. Non un sorriso, ma quasi una parola gentile, che di sonora fosse diventata visibile, socchiudeva le labbra, spingendole verso sinistra a fermare una delicata fossetta.
Un abito, chiuso strettamente al collo, cercava in tutti i modi di profondare e confondere le forme che conteneva, sebbene queste, animate da una gioventù violentissima, da ogni lato premessero, senza turbare però la candida inconsapevolezza di colei ch'era oggetto di tanta predilezione della natura.
L'attitudine della persona era di una modestia senza pari. Tutta l'umiltà, pazienza, esitazione di una donna brutta, parecchie volte dimenticata e sconfitta a causa dei suoi difetti fisici, era in quel corpo bellissimo. La mano destra, che avrebbe sentito qualunque mano d'uomo che stringesse farsi fredda di emozione, si nascondeva nel grembo sotto la sinistra che, pur nuda di anelli, scintillava essa stessa come di materia preziosa. I pensieri, che brillavano attraverso l'arco della fronte, vincendo la penombra del velo, erano di castità, amore, fedeltà. Si poteva scommettere che quella donna non avrebbe mai mentito.
Per quanto inadatto, anche fisicamente, a simili cerimonie, e rigido per natura, in quelle due ore io imparai l'inchino, il più profondo e lento degl'inchini, perché era inconciliabile il pensiero che esistesse una donna simile con quello che io non sapessi inchinarmi.
Ahimè, "esistesse"! Quella donna quasi non esisteva più. Poco dopo, apprendevo ch'ella era la nonna del mio amico e aveva già ottant'anni.
Con una trepidazione da non si dire, pranzai di faccia alla vecchia signora. Tutti i pregi fisici l'avevano abbandonata, fuorché lo stile. Nel chiederci di ripetere una frase, ch'ella non aveva sentita a causa di una mezza sordità, nel parlare, nello stare zitta, nel mangiare, nel bere, nel guardarci, dissipando, con una grazia tutta interna, l'opacità dei propri occhi, metteva uno stile che rendeva goffi e impacciati quanti di noi le stavano vicini.
Dai discorsi dei parenti, e dal modo con cui la rispettavano e amavano, compresi ch'ella aveva mantenute tutte le promesse che il suo ritratto di ragazza ancora faceva.
Il mio sconsiderato amore era terminato, ma la mia indifferenza per le giovani del mio tempo si era aggravata...
(Dall'inchiesta che si è fatta, è risultato che quest'uomo è stato ucciso da un emissario del suo paese. Egli era stato condannato dal Tribunale speciale per "scontentezza del proprio tempo" Nel suo paese, retto con criteri totalitari, ogni cittadino è infatti obbligato, pena la morte, a essere felice di vivere nell'epoca in cui vive.)