Rodolfo arriva in città

 

Rodolfo giunse a Roma nell'ora in cui si termina di far colazione, e trovò la famiglia del professore Guglielmo Parini ancora radunata intorno alla tavola. Il professore, in abito nero, il solino duro e una cravatta che formava sulla camicia un ponte rigidissimo, aveva cavato dalla tasca uno dei giornali che continuamente vi giacevano, e ora lanciando lo sguardo sopra gli occhiali, ora attraverso gli occhiali, leggeva qualcosa di tanto interessante che, all'arrivo di Rodolfo, si alzò a metà, gli porse la mano sinistra, e, continuando a leggere, gli domandò:

"Come sta tua madre? Come sta tuo zio?"

"Bene, bene!" disse Rodolfo, sorridendo.

La moglie del professore, la signora Silvia Dentelli, si tirò a dietro con la sedia e, asciugandosi in tutta fretta la bocca, si alzò pesantemente e circondò Rodolfo di premure altrettanto grasse e pesanti quanto lei. Coloro che serbarono un contegno molto grazioso e riservato furono i figli del professore, Fausto di cinque anni e Mariella di quattordici. Fausto torse gli occhi grandi verso il nuovo arrivato, come nel giuoco in cui si vuol fare la parte del cieco e, battendo un dito sul tavolo, domandò:

"Hai portato il vino di Zafferana? Alla mamma piace molto il vino di Zafferana. Ella lo beve anche in piedi, e questo però non va bene."

"Zitto, maschione!" fece la signora, guardando Rodolfo da ogni parte, come una statua. "E i cugini? Come stanno? Come sta Luisa? Come sta quel brontolone di Giacomo?"

"Bene, bene," faceva sempre Rodolfo e, alzando le mani sporche di fumo, consigliava a tutti di non avvicinarsi.

"Tu devi fare un concorso?" disse Mariella. "Io ho letto la lettera che ha mandato lo zio. Abbiamo riso tanto, ieri. E' vero che sei uno che dice sempre... Come dice, papà?... Ah, ecco: mi pare che tu dica sempre: "La cosa è bella!" Ma che cosa era bella, papà? Come ci stava scritto?"

"Mariella, per Dio!" fece il professore, avvolgendo il giornale intorno al braccio. "Codesto non è modo!... Caro Rodolfo, io ho avuto tanto piacere di quella lettera, del tuo arrivo, del fatto che starai qui con noi sette mesi... Naturalmente, non sono d'accordo con te su certe idee... Ma, come ti dicevo, ho avuto tanto piacere della lettera di tuo zio che ho voluto leggerla a tutto il concilio familiare. I bambini, si sa, storpiano ogni cosa."

"Io non sono una bambina!" gridò Mariella, alzandosi e mostrando che era alta quanto la madre. "Io sono una donna!" e abbracciando la madre in modo da soffocarla: "E' vero, mammuccia, mammetta, mammina, che sono una donna? Su, dillo!"

"Mariella, lasciami in pace!" faceva la signora.

"No, dillo, dillo che sono una donna!"

"Lo dico io," esclamò Fausto, "sei una stupida!"

Mariella si volse rapidamente e diede un buffetto sulla nuca del fratello. Questi afferrò un bicchiere, ma si ferì subito alla mano e dovette lasciarlo. "Ahi!" si mise a gridare. "Mamma, aiutami."

 

Non appena Mariella vide il sangue sul dito mignolo del fratello, si aggrappò alla madre e svenne.

"Dio, Dio, Dio!" faceva la signora. "Guglielmo, guarda tua figlia! Cosa le succede? Butta via quel giornale!"

Il professore si alzò di scatto ma non aveva ancora tolto gli occhiali che Mariella riapriva gli occhi e sorrideva debolmente, come se avesse fatto uno scherzo molto faticoso e, in fondo, pauroso per lei.

"Su, su, bella!" diceva la signora, stringendola al fianco. "Su, figlia mia, su!"

Mariella le poggiò la guancia sulla guancia: "Ma è stato niente; no, mamma? E' vero è stato niente?" Così dicendo, si staccò dalla madre e tentò di fare una giravolta, ma subito si smarrì e si rifugiò spaventata presso Rodolfo. "Mio Dio!" esclamò. "Mio Dio! Cosa mi succede oggi?" Poi alzò lo sguardo e vedendo il sorriso di Rodolfo, ch'era di un genere così nuovo e rassicurante per lei, tornò a sorridere con gli occhi fermi.

"Fausto! Disgraziato!" faceva la madre a bassa voce.

"Non mi seccate!" rispondeva Fausto, socchiudendo un occhio. "Femminuccia madre di una femminuccia, non mi seccate! Dentro la tasca ho un dito col sangue."

"Ma va a disinfettarlo, piccolo buffone!" gridò la signora.

"Via, su!" fece il professore. "Passiamo nel salotto e facciamo un po’ di musica. Rodolfo, hai sentito mai suonare al piano tua cugina Mariella?"

"Mai," disse Rodolfo.

"Sentirai adesso che bellezza!" mormorò Fausto, precedendo tutti nel corridoio che conduceva al salotto.

Mariella era rimasta con una grande dolcezza sul viso, come se fosse diventata più buona dalla paura. A Rodolfo, con quegli occhi che passavano lentamente da una persona all'altra, con quelle mani che si tenevano a vicenda, quel passo timido e quel sorriso tanto esile, sembrava la più graziosa ragazzina del mondo.

Davanti al piano nel salotto, Mariella sollevò le mani, come quando non si sa quale dolce scegliere, in un vassoio che ci viene offerto.

"Aiutami!" disse Rodolfo. "E' meglio che prima suoni io..."

"Grazie," fece Mariella, con una moina del collo.

Rodolfo si mise al piano e Mariella gli si sedette vicino. Il professore era sparito dietro il suo giornale, la signora sonnecchiava e Fausto minacciava di tanto in tanto la sorella di cavare il dito dal cotone e mostrarle il sangue.

Rodolfo suonò male il solito pezzo di Chopin; Mariella, accanto a lui, gli voltava le pagine e si rianimava a vista d'occhio. Le era tornata anche la parlantina, e di nuovo somigliava alla ragazzina irrequieta che Rodolfo aveva veduto, al suo entrare in sala da pranzo.

"Senti, Rodolfo!" gli mormorava in fretta. "Tu sei un bel ragazzo... Sì, davvero te lo giuro: sei un bel ragazzo. Qui ti divertirai molto. Tutti ti inviteranno al tennis... Poi ti presenterò alla mia amica Enrica Karleston. Pensa: Karleston, con la kappa!... E' tanto, ma tanto bella! E' una straniera, immagina! E poi è una donna, non una bambina... una donna da marito. Ella mi dice sempre: Mary (si scrive mari, ma si legge meri), presentami dei bei ragazzi! Adesso io le presenterò te. Che ne pensi?"

"Suona un po’ tu," disse Rodolfo.

Mariella sedette al piano e si mise a suonare con tanta allegria che di un tango fece un valtzer veloce.

D'un tratto, la signora Silvia balzò dal divano e, come se avesse fatto un sogno spaventoso, si mise a gridare:

"Ma il pranzo! Ma il pranzo!"

"Che pranzo?" domandò il professore, disgustato.

"Ma Rodolfo ha fatto colazione?"

Tutti si volsero, con molta costernazione, verso Rodolfo.

"Hai fatto colazione?" disse la signora.

"No," fece Rodolfo.

"No!?" esclamò la signora, quasi con orrore.

"No?" fecero Fausto e il professore.

"No?" disse Mariella, con molta grazia. "Vieni un po’ con me. Ci penso io. Mamma, tu sta tranquilla. Ci penso io."

Tenendolo per la mano, Mariella ricondusse Rodolfo in sala da pranzo, lo fece sedere dinnanzi al tavolo, ordinò che gli fosse apparecchiato e cominciò a porgergli dei piatti freddi.

La stanza era piccola, di gusto mediocre, zeppa di cose piccole e incoerenti; ma i suoi colori avevano un che di umano, ed i suoi mobili, l'uno addosso all'altro, pareva si volessero stringere agli uomini, per riscaldarli e tener loro compagnia. Rodolfo provò la solita dolcezza di vivere, di trovarsi nel posto in cui si trovava, di avere l'età che aveva, di chiamarsi col nome che gli avevano dato...

Sogno di un valzer e altri racconti
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