Un giudice solenne
Il tribunale di Catania ha sede in un vecchio palazzo lacerato all'interno dal passaggio degli anni, ridotto in polvere, ragnatele, buchi, trucioli, consumato fino alle costole e alle travature. Per i corridoi strettissimi e bui le persone quando s'incontrano, non possono fare a meno di addossarsi alle pareti sporche, e colui che si ferma per cedere il passo all'altro sente questo strisciargli la pancia sulla pancia (meno male, quando l'avvocato magro e senza lavoro s'incontra con un collega sfortunato e sottile come lui; peggio, quando uno di questi avvocati ne incontra un altro celebre, goloso e panciuto; un vero disastro quando s'incontrano due pezzi grossi con giubbetti tempestati di bottoni, e taschini riboccanti di oggetti, ché i bottoni s'impigliano fra loro, l'orologio dell'uno viene tirato via con tutta la catena, quello dell'altro capovolto e schiacciato, e una matita, non si sa se dell'uno o dell'altro, salta nel vuoto e si adagia e nasconde fra le ragnatele)
Le sale delle udienze sono larghe e un po’ meno polverose che non le stanze interne e i corridoi; ma anche in esse si accampa il buio, lasciando però alla luce scialba delle finestre metà della persona del Pubblico Ministero e un terzo di quella del difensore. Le pareti, il soffitto e il pavimento su cui scorrono tristamente gli occhi degli imputati, paiono di ferro o di macigno, ma in verità sono anch'essi svuotati dal tempo e ridotti fragili come cartoni.
I nostri avvocati sono i più eloquenti e bravi che abbia l'Italia, ma non sanno né frenare né limitare i gesti, e i loro pugni chiusi volano da tutte le parti proiettando ombre colossali che si aggiungono al buio addensato negli angoli.
"Avvocato," dice il cancelliere, "stia attento a non farsi male!"
Una volta il pugno dell'avvocato picchiò sbadatamente sulla parete e la sfondò. Un'altra volta, essendosi il giovane penalista Rosso buttato sul suo avversario che, poggiando solennemente un gomito sul tavolo, lo offendeva con stupide calunnie, il tavolo, premuto e scelto come sostegno durante la rissa, disparve in una nuvola di polvere, e l'avvocato cadde a terra come un superbo cavaliere il cui cavallo scompaia per virtù di incantesimi.
In un'altra circostanza, essendo scoppiato in questa sala una specie di tumulto, alzandosi e tornando a sedere con violenza e pesantezza il presidente, salendo e scendendo e pesticciando gli avvocati sulla pedana, sbattendo gl'imputati le grate della gabbia, rigirandosi il pubblico sulle sedie un poco più del solito, il pavimento si squarciò come un foglio di carta, e tutte le persone, che stavano in questa sala del secondo piano, caddero nella sala corrispondente del primo piano, in piedi come si trovavano o sedute, libere o ingabbiate, senza scomporsi troppo né ammaccarsi, grazie alle ragnatele, alle cartacce e al dissolversi in polvere di tutti gli oggetti che avrebbero potuto ferire o contundere.
Ma quanto spirito, quanto brio, quanta cultura e intelligenza brillano in questo ciarpame!
Caduto il fascismo, da due mesi, un giudice stava eretto più solennemente degli altri perché pensava che, a risarcimento di una certa promozione che non gli era stata concessa sotto il vecchio regime, la democrazia lo avrebbe nominato sottosegretario al ministero di Grazia e Giustizia. Trattava gl'imputati con doppia severità, demeritando tutti ai suoi occhi, oltre che per il fatto di aver rubato o ucciso, per quello comune a molti italiani di essere stati iscritti al fascio. Diceva sempre: "Voi, bello spicchio... mi pare che noi ci conosciamo, ci siamo visti altre volte!"
"Sissignore," gli disse un giorno un povero diavolo, "vossignoria mi ha già condannato a tre anni nel '936..."
"Eh, io non mi sbaglio, ho l'occhio fino, non ricorderò i nomi, ma ricordo le facce! E perché vi ho condannato?"
"Per insulti al capo del Governo! Tre anni perché gli ho detto cornu..."
"Basta! Va bene! Lo sappiamo!" brontolò il giudice in fretta, cercando di coprire con le sue le parole dell'imputato. "Poche chiacchiere! Qui non si fa politica! Siamo nella sede della Giustizia! Noi stiamo più in alto della politica! Guai se si facesse politica anche qui! Nelle grandi democrazie, nessuna autorità politica è superiore a quella della giustizia! Il giudice è al di sopra di tutto e di tutti! Questa è la garanzia principale della libertà! Mi raccontava ieri il colonnello inglese alloggiato a casa mia che, nella sua patria, nessun deputato o sindaco o generale si azzarda di premere minimamente sul corso della giustizia! Sarebbe uno scandalo mai visto... una mostruosità!"
"Ma c'è una giustizia democratica, una giustizia comunistica e una giustizia fascista!" esclamò l'avvocato difensore, che certo aveva parlato col diavolo. "Ed è inutile aggiungere, camerati, che la vera giustizia è quella fascista!"
"Chi si permette di parlare così?" urlò il giudice, alzandosi il più vastamente che potesse e spampanando i lembi e i merletti della toga.
"Lei, signor giudice!"
"Io?"
"Lei! sono parole sue!"
"E quando le avrei pronunciate?"
"Proprio quando mi ha condannato a 3 anni di reclusione per aver detto cornuto al capo del Governo!" mormorò l'imputato. "E nessuno allora mi voleva difendere, e solo il signor avvocato qui presente ebbe il coraggio e la bontà di farlo!"
"Zitto voi!" sbraitò il giudice. "E anche voi, avvocato! Questa è una calunnia di cui mi renderete ragione!"
L'avvocato, l'indomani, gli rese tutta la ragione possibile mandandogli fino a casa un giornale del '36 nel quale erano riportate fedelmente, e commentate con calore, le parole pronunciate dal giudice dopo la lettura della condanna.
Il giudice lacerò il giornale, lo ridusse in piccoli pezzi e lo bruciò sul fornello della cucina. "Canaglie!" diceva. "Sporchi! Questa è una terra in cui non si può più vivere! Bisogna partire, andare all'estero!"
Conclusione: un anno dopo, l'avvocato era privato del diritto di voto per avere ricoperto da studente la carica di segretario del guf. La commissione che privava del voto i cittadini indegni, era presieduta dal giudice di cui sopra.