Fine di pranzo
Cosa succede in fondo alla tavola, dietro l'enorme mazzo di margherite e la fila delle bottiglie che pare siano andate a finire tutte laggiù? Nessuna paura: è la signorina [signora] Arlini, la padrona di casa, che offre ancora del pollo alla vecchia signorina Freddi. L'episodio somiglia in tutto a una rissa: la signorina Freddi grida, come se fosse stata afferrata alla gola, e alza il gomito per difendersi dal piatto che la signora le spinge quasi in pieno viso: la signorina grida che, in questo modo, la si vuole fare morire, che nient'altro si vuole se non farla morire. La signora abbassa il piatto e mormora che la morte andrà certamente dalla signorina Freddi, ma sarà la morte per inedia e per anemia; e così torna malinconicamente al suo posto.
Al centro della tavola, c'è intanto qualche altro che parla di morte: è il commendatore Romualdi, il quale sostiene di aver mangiato molto più di quanto non consenta la vita e di essere entrato in un'ora pericolosa. "Tu scherzi," gli grida la moglie, "ma io ho paura: specialmente dopo il pranzo, quando diventi paonazzo e ti viene il sonno!"
"Bisogna dormire con la testa alta!" mormora qualcuno.
"Voi! Voi!" grida d'un tratto la signora Arlini. "Voi mi offendete!"
Tutti si voltano verso il punto in cui la signora Arlini fissa gli occhi, e vedono un vecchietto che ha preso soltanto un'ala di pollo e ora sta raggomitolato come se sentisse freddo.
"Perdonatemi, signora," mormora il vecchio, "ma io..."
"Niente io! Prendete un po’ di petto, e le patate! Su: le patate! Così da bravo!"
C'è un momento di calma.
"Voi state benissimo, quest'anno," si dice in un lato della tavola. "Vi siete completamente rifatta... L'anno scorso, diventavate verde subito dopo i primi bocconi! Mi compiaccio, brava!"
Questi elogi vengono rivolti a una piccola donna che ha il collo minuto come una candela, la fronte rossa come una scottatura, e gli occhi grandi e vuoti, ove lo sguardo si accende raramente e in un punto delle pupille.
"Certo," dice la piccola donna, alzando con la mano senza più carne un bicchiere pieno d'acqua medicinale, "certo, sto meglio. L'anno scorso, ero sempre lì lì per morire. Ma quest'anno, grazie a Dio..."
"E allora," grida la signora Arlini, "e allora perché non prendete un altro po’ di pesce? Dovete mangiare, dovete nutrirvi!"
La piccola donna ha un sorriso misterioso che le porta quel po’ di carne, che ha sulla faccia, tutta all'angolo destro della bocca. Il suo vicino di sinistra, il professor Laureni, che la vede soltanto di profilo, ha l'impressione che lo zigomo stia davvero per lacerare la pelle della piccola donna e uscire alla vista di tutti. "Si scopron le tombe!" mormora dentro di sé.
"Professore! Professore!" si sente gridare. "Professore, che fate? Dio mio, che fate? Ma come: avete saltato il pesce!"
"No, signora: io l'ho di già mangiato. Vedete le spine?"
"Ma fatemi il favore! prendete davvero un po’ di pesce. Ecco qui: ecco, questo poco!"
Una grossa gobba di pesce sta ora nel piatto del professor Laureni, che la fissa in silenzio. Non c'è speranza: bisogna che quel "pezzo di mondo" scompaia nel suo stomaco; bisogna assimilare quell'estraneo, quel freddo, quell'ostile pesce; bisogna che egli lo faccia diventare carne della sua carne; bisogna che quel muto viaggiatore dei mari tropicali entri nell'intimità dell'essere, nella calda e mortale essenza del professor Laureni.
"Dunque?" grida la signora Arlini. "Cosa fate?"
Il professore abbassa il capo e, boccone dietro boccone, ingoia tutto il pesce che gli è stato offerto.
Ora è tranquillo. Ma non passa un minuto che zampe di altri animali si presentano nel suo piatto, e poi volumi bianchi e rossi, e prodotti degli alberi, e ortaggi, e infine colorati impasti di zucchero e miele. Il pranzo è finito. Ora si chiede a gran voce una buona tazza d'infuso dalla quale tutti si aspettano numerosi prodigi: soltanto l'infuso potrà svegliarli, potrà liberarli dal peso dello stomaco e dai pericoli di una lunga digestione. Eccolo, infatti: non è ancora sceso per la via dalla quale sono spariti le carni degli animali e i prodotti degli alberi, che già il commendatore russa, la signorina Freddi alza la sciarpa fino a coprirsi la fronte e, assicurando che non dormirà, chiude gli occhi, e la piccola donna, diventata tutto fuoco, ricorda che l'anno scorso, dopo un pranzo simile, avrebbe potuto anche morire.
Pesante come se fosse diventato due uomini, pesante come un animale che cerchi di saltare col proprio nemico fra i denti, il professor Laureni si alza dalla tavola e va al balcone.
Sull'Etna, il cielo è azzurro e limpido come l'occhio di un bambino che ha mangiato poco. Negli ultimi piani delle case popolari, si aggirano figure magre di gente che, prima di mordere il pane, se lo guarda e riguarda dieci volte. Le palme sottili, i platani svelti, i pini asciutti, ogni cosa ha il beato aspetto della continenza.
D'un tratto, il professore s'abbatte in una sedia, come il leone che cade, con la testa fracassata, sotto il peso del vitello che strascinava coi denti per l'orlo di un dirupo.