Un "Uomo evoluto" alla messa di mezzanotte

 

 

"Ma questa musica," cominciò a brontolare lo spirito acido dell'avvocato Trombetti, che tuttavia quella notte si trovava, come tanti altri, col mento sul petto e le mani congiunte, "questa musica che sta suonando l'organo, scusate?"

E si voltò al collega Grassoni, un uomo di centodieci chili, del tutto privo d'indipendenza e libertà di giudizio, che stava seduto lì vicino, col faccione piegato verso le ginocchia:

"Questa musica non la riconosci?"

L'enorme collega avvicinò l'orecchia piena di ciuffi di peli alla bocca di Trombetti: "Cosa dici?"

"Ti stavo pregando," fece Trombetti, usando involontariamente una frase d'uomo collerico che è per perdere la pazienza, "che questa musica, che suona l'organo, mi pare di riconoscerla."

"E' la Norma!" esclamò il grosso collega, lasciandosi sfuggire queste parole, privo di controllo com'era sulla propria voce a causa della sordità, in un grido che fece sobbalzare alcune signore.

"Ma è una musica profana!" borbottò Trombetti piegando la fronte sulle mani intrecciate.

Grassoni rimase per un minuto col faccione rosso e paziente proteso verso l'amico, sporgendo in basso l'orecchia piena di peli in attesa di altre parole; ma poiché l'amico non fece più cenno di muovere le labbra, Grassoni ritirò la faccia e raddrizzò il busto insaccato in un mucchio di maglie, gilet, maglioni, sciarpe.

D'improvviso Trombetti tornò a voltarsi e pregò, con un cenno della mano corta e grassa, il collega di avvicinarsi; pronto e premuroso, il grosso uomo si piegò verso Trombetti che, per potergli stare più comodamente vicino, gli appoggiò un gomito sul ginocchio e gli parlò dentro l'orecchia, dopo averne scostati con la mano i due ciuffi di peli che ingombravano l'apertura: "La Chiesa" disse con voce stridula, "deve rinnovarsi se non vuole morire!"

"Sì" rispose piano il collega, e subito dopo, temendo di non aver detto nulla, e di avere soltanto pensato il suo monosillabo, ripeté, con tutto il vocione che aveva in petto: "Sì, sì!" e fece una seconda volta sobbalzare le signore.

Trombetti gli premé con forza una mano sul ginocchio, per fargli intendere che aveva alzato troppo la voce, e tornò a piegare la fronte sul leggio dell'inginocchiatoio.

L'organo suonava ora una musica sacra, e il coro delle donne, di alcune delle quali si vedeva la testa coperta di un velo nero sporgere dalla balaustra, cantava dolcemente.

Sull'altare maggiore, al di sopra dei candelabri, due tendine bianche si scostarono d'improvviso e lasciarono scoperto un Bambino

Gesù soavissimo. Segno ch'era mezzanotte.

Tutti si fecero la croce e poi s'inginocchiarono. Lo stesso avvocato Grassoni, pur lasciando seduta la grossa e inamovibile mole, tirò indietro il piede destro fino a colpire la ragazza che gli stava alle spalle, e piegò lo smisurato ginocchio avvicinandolo il più possibile al pavimento, come se stesse per scivolarvi inginocchiato. Si sentiva, confuso con le nuvole, di cui ciascuno ricordava la densità e il colore buio, per averle guardate sospettoso prima di entrare nella chiesa sfolgorante, ora sì ora no un vasto suono di campane.

Il prete alzò la voce e cantò distintamente alcune parole latine.

L'avvocato Trombetti si voltò di scatto ed esplose dentro l'orecchia del collega, che questa volta si trovò subito sul muso: "Peccato che il rito sia troppo misterioso e non si capisca!"

Il collega abbassò e riabbassò il faccione in segno di consenso, stringendo le labbra amaramente; e ogni volta che Trombetti tornava a voltarsi come per aggiungere alle parole dette il commento degli occhi strizzati, l'altro abbassava il faccione e stringeva le labbra amaramente.

L'organo cantava con tutte le sue canne, le ragazze del coro cantavano con tutto il petto, ritte in piedi e rivolte al pubblico, il prete alzava le mani e la voce, impaziente di essere sopraffatto dai suoni. Una favilla di speranza ardeva in tutti gli occhi. Le parole latine del prete suggerivano immagini chiare di felicità anche ai cervelli più umili: solo Trombetti dichiarava a se stesso di non capire nulla e, rifiutandosi ai luminosi cenni del rito, scendeva per una via solitaria in immaginazioni più nere della notte. Come di un mare, diventato subitamente tranquillo e trasparente, e nel quale ci s'immerge con occhi protetti da una maschera a vetri, si vede il fondo con le minime erbe, i pesci, le rupi, così di tutto il passato, ecco vedersi nitidamente il fondo coi miliardi di uomini che vi s'erano addormentati per sempre. Miliardi, miliardi di miliardi... Se i loro visi rispuntassero, larghi quanto una foglia, nel fresco colore dei vent'anni, una foresta potrebbe vestirsene, una foresta grande come tutta la terra, e forse tanto più grande da aver bisogno di estendersi in un tratto di cielo. Che pietà! Nessun essere che voli, cammini o strisci, che respiri aria o acqua, suscita pietà quanto gli uomini, i più miserabili di tutti per quella fiamma di pensieri che ciascuno porta sulla testa, avida di lambire il cielo e di sprofondarvi, capace di divorare l'eternità e sulla quale tuttavia la morte soffia bruscamente, lasciando al suo posto una nicchia di buio eterno. "Tutto è materia!" mormorava Trombetti, e si voltò verso il collega per comunicargli questo pensiero che a lui sembrava mirabile come una scoperta; ma il collega aveva chiuso gli occhi, e il suo faccione, ingrandito dalle palpebre abbassate, mostrava le vene, le arterie, i peli della barba, i pori della pelle, come attraverso una lente di studio.

Trombetti lo guardò per un minuto e ripiegò il capo sul leggio... Cinquant'anni di battiti di cuore, di respiri e di contrazioni del fegato: ed ecco la gravezza della materia. Come un sonno sulle ciglia! Non il sonno di ogni sera, tutto trapunto di sogni e già presago del risveglio, ma un sonno assai più duro e pesante, addensatosi piano piano, di mattino in mattino, come un residuo lasciato dal manchevole riposo della notte: un sonno possente e ferreo, capace di risparmiarci completamente gli affanni, le ansie, i desideri, i mali fisici, le grida e i fracassi di un futuro senza termine.

Il prete officiante s'era avvicinato ai gradini dell'altare maggiore recando in mano il calice. Era il momento della comunione. Si alzò la signora Maglia, col cappellino posato su una rocca di capelli neri e sull'orbita degli occhiali a stanghetta, e s'avviò, col suo passo di cucciolo, tenendo congiunte le mani cariche di anelli. Dalle file di sedie uscirono, subito dopo, il principe Baglione con una spazzola nera sotto il naso; un giovinetto alto, curvo, con le mani nelle tasche dell'impermeabile; una ragazza dal viso triangolare, con un fazzolettino di seta, anch'esso triangolare, sulla testa; e poi le bambine dell'asilo, poveramente vestite, lasciando al loro passaggio un odore d'erbe bagnate.

Trombetti si voltò verso il collega che aveva riaperto gli occhi: "Il rito protestante," disse, "mi convince di più."

E detto questo si alzò, si fece largo tra le sedie e s'avviò anche lui verso l'altare maggiore.

Il collega rizzò il capo per seguirlo in ogni minimo passo, con l'occhio, affettuoso e privo di giudizio, di un vecchio cane. Lo vide così inginocchiarsi sui gradini dell'altare maggiore, e, dopo un'attesa paziente, ricevere l'Ostia consacrata; poi lo vide tornare, scostare le sedie e ripiegare i ginocchi sul cuscino di velluto consumato. Voleva rivolgergli una domanda, ma Trombetti teneva la faccia tra le mani, serrando con forza gli occhi. Allora l'altro, che lo avrebbe ascoltato con riverenza, si mise ad osservarlo con riverenza anche maggiore, mentre taceva e meditava.

D'un tratto, uno di coloro che stavano inginocchiati sui gradini dell'altare s'alzò di scatto e gridò: "Non sono degno dell'Ostia consacrata! Ho ucciso l'appuntato Caruso!"

Un brusio d'indignazione sciamò per il pubblico. Grassoni rizzò di nuovo il collo e sgranò gli occhi, incapace di comprendere quello che stava succedendo, un po’ per la sua sordità e molto perché le sole cose che capisse erano quelle che gli riferiva il collega Trombetti.

Questi alzò finalmente la fronte dalle mani, guardò con indolenza verso l'altare maggiore, poi si volse indietro e, appoggiato un gomito sul ginocchio dell'amico: "E' il solito maniaco," disse. "Non so come l'abbiano fatto entrare! Gli assassini dell'appuntato Caruso sono stati già condannati a ventiquattro anni, e questo mentecatto continua a gridare che il vero assassino è lui!"

Grassoni sporse le labbra in segno di disgusto e ciondolò tre volte il capo.

"Ite Missa est."

Il rito era terminato. I due colleghi uscirono per ultimi dietro un mucchio di pellicce che si muoveva lentamente sui passettini di una signora.

La strada era fredda e, al di sopra dei palazzi barocchi, nuvole bianche e basse si muovevano velocemente sotto altre nuvole altissime, immobili, di lavagna.

Trombetti s'aggrappò al braccio del collega che aveva calcato un cappellone di pelo fin sugli occhi e le orecchie. "I cattolici," ricominciò subito con la voce stridula, "si son fatti una vita morale molto comoda: peccati lunghi sorseggiati con delizia, e rimorsi brevi annullati in un attimo."

A ciascuna di queste parole, il collega, tutto inclinato verso di lui, faceva di sì, sprofondando il mento nel bavero di agnellone.

La gente, uscita dalle chiese, era entrata nei portoni delle case o nei caffè, e la strada era deserta. Ma Trombetti non mollava. Passeggiando aggrappato al braccio dell'altro, e talvolta fermandosi per rizzarsi sui piedi e gridargli fra i peli dell'orecchia: "Siamo ipocriti: ecco tutto!" ebbe tempo di demolire a una a una tutte quelle che egli chiamava "superstizioni" e "usanze arretrate" Tre volte salirono e tre volte scesero per il lungo corso, e sempre l'enorme collega teneva rispettosamente inclinato il faccione dalla parte del piccolo Trombetti.

D'un tratto, qualcosa tintinnò per terra, Trombetti si fermò, trattenendo l'amico: sapeva che quel tintinnio corrispondeva a un minuto oggetto cadutogli mentre ne cavava il fazzoletto. Stette per un momento irresoluto se curvarsi per terra o proseguire. Guardò in viso il collega, lo riguardò da vicino rizzandosi sui piedi, ed emise un oh! di stupore: quel brav'uomo teneva gli occhi chiusi, e da almeno un quarto d'ora, sebbene passeggiando con la testa inclinata, dormiva.

Allora Trombetti si chinò a terra rapidamente e raccattò la medaglia della Madonna che gli era caduta dal taschino.

Sogno di un valzer e altri racconti
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