I viaggi di Vito

 

 

Si aprì, nella sua vita, l'epoca dei viaggi.

Il Nord era pieno di donne, e bastava che sedesse in un sedile rivolto a settentrione perché il suo sguardo volasse verso la stella polare, credendo quasi di vedere più illuminata la parte di cielo che copriva la città dalle strade popolose di ragazze.

Vito divenne elegantissimo, adagiò la testa sopra una sciarpa bianca vaporosa come una nuvoletta, alzò il mento a destra e lasciò che i riccioli della nuca entrassero nel colletto di seta. Prese anche nuove abitudini e, verso le cinque del pomeriggio, mandò, nella casa paterna in cui stagnava l'odore di soffritto, attraverso le porte crepate, un grido singolare: "Il tè!"

Per alcuni anni, la sua vita fu veramente faticosa. Il mondo fu diviso in "paesi senza donne" e "paesi pieni di donne" Il suo destino era quello di abitare nei primi; ma ogni volta ch'egli prese un treno, fu per andare nei secondi. I viaggi lo spaventavano, perché egli era sedentario, reumatico, sognatore, gastropaziente come dicevano i medici, o acidista come diceva la madre. Ma l'idea della donna lo spingeva furibonda; ed egli viaggiava, di notte avvolto in uno scialle, con le valigie piene d'immagini sacre e la magnesia a portata di mano.

Cominciò col fare una lunga crociera, perché seppe che in Olanda le ragazze sedevano sui marciapiedi tirando i passanti per il lembo dei pantaloni. L'anno seguente, andò in Francia: l'inverno era rigidissimo, e, scendendo negli alberghi, ancora con la sciarpa al collo e le valigie in portineria, domandava il nome del più bravo medico della città; ma voleva visitare ad ogni costo i locali notturni di Parigi durante l'inverno. Si recò in Germania quando seppe che le tedesche mettevano la testa sulla spalla dell'uomo e, con una mano, gli carezzavano la nuca. Una qualunque notizia, per cui l'immagine della donna si ergesse da una parte della terra con un che di nuovo per lui, lo mandava nei paesi più lontani. Le prime donne, che indossarono i pantaloni da spiaggia, lo mandarono in Norvegia. Il sospetto che qualche ragazza prendesse il bagno affatto nuda nel Mar Nero, lo mandò a Odessa. Il discorso di un capitano di lungo corso sulla dolcezza delle gheise, fatto in un caffè, a un tavolo vicino al suo, lo mandò fino in Giappone. Col progresso dei tempi, essendo quei costumi femminili, di cui egli aveva salutato la prima apparizione in terre straniere, finalmente arrivati in Italia, egli batté le rive dell'Adriatico e del Tirreno. Ma i suoi viaggi repentini non furono solamente estivi. Alcuni giorni d'inverno lo sentirono tossicchiare in mezzo alla nebbia di Milano.

Chiamato nei più diversi paesi da un unico desiderio, egli non vedeva che l'oggetto del suo desiderio. Il resto lo ignorava. Poco curioso dell'arte, del commercio, della natura, dei costumi, anche quando viveva a Catania, quando poi saliva in treno, il suo occhio acquistava come una seconda palpebra la quale s'alzava unicamente alla presenza d'una donna. Egli ignorava totalmente quello che i popoli fabbricarono e compirono di bello, di grande o di feroce nella piazza in cui aveva incontrato quella tale ragazza; nella pianura in cui era caduto ai piedi di una belga, e ch'erano poi i campi di Waterloo... Non sapeva nemmeno che la cupola di cui, in un soggiorno romano, si era servito ogni sera per trovare col binocolo una certa scenetta in una stanza illuminata, era uscita dalla testa di Michelangelo.

Nella sua memoria di viaggiatore non c'era nulla che non riguardasse la donna. Quando tornava a Catania, aveva nel viso un che di ebbro e di esultante: era una frase che la bella del lontano paese gli aveva detto nell'intimità.

Questa frase, come una goccia di benzina inconsumabile entro un motore a scoppio, gli dava forza e moto per tutto l'inverno. Egli sobbalzava di tanto in tanto sulla sedia: il sangue gli affluiva negli occhi, le sue labbra sospiravano nell'orecchio di un amico: "Sentirti dire: Vito, in amore tu sei un dio!"

In primavera, la frase, un po’ usata e logora, non era più in grado di sostenerlo; ed egli consultava le cartine e cercava col dito un paese in cui ascolterebbe una nuova frase capace di sorreggerlo per il prossimo inverno.

Sogno di un valzer e altri racconti
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