Un viaggio inutile

 

 

Domandate a una ragazza di provincia quante volte nel sogno ha camminato per via Veneto. Ne rimarrete spaventati. E' mai possibile? direte, che sciocchezze, che ingenuità, che gusto! E ricordando come avete sbadigliato voi, mescolati a quel sole formicolante di capelli di stoppa, pellicce di volpe, pelo di cani, monocoli, zazzere, fedine, turbanti, direte: "Oh, la provincia, la provincia, beata la provincia!"

A Nissa, nel cuore della Sicilia, l'avvocato Paolino Gorgoni, sovraintendente alle biblioteche, e la signorina Concetta Carboniello facevano spesso questo sogno e, un po’ prima di mezzogiorno, se lo raccontavano al telefono. Lei sognava di camminare per il marciapiede di sinistra, "brillante di mondanità"; lui invece per quello di destra... Perché? Cercate di ricordare questo marciapiede nel momento in cui il sole, come una stanca colomba, va ad appollaiarsi nel punto più alto del cielo. La sponda di un fiume carica di gente che vuole imbarcarsi, il piuolo di una scala che sostenga un numero infinito di uccelli variopinti, il ramo spezzato di un mandorlo che galleggi, fitto di fiori, sulla superfice di un lago, ne danno appena l'idea. Avvicinatevi cautamente: chi sono le persone che si pigiano in questa calca? Divi, registi, impresari del cinema, sceneggiatori, soggettisti, piazzisti. Tutte le facce che, ingrandite e dilavate nel crepuscolo dello schermo, vi han fatto trasalire o (secondo il gusto che avete) spinto a mormorare: "Che sciocchezze! Maledetti stupidi!", passano di qui, ancora sfriggenti di luce di riflettori. I capelli delle donne hanno tutti i colori delle bucce in un pranzo di primavera, e le pupille, nel perpetuo pianto della glicerina, paiono esse stesse due enormi lacrime colorate. Qui gli uomini vanno senza giacca, col panciotto da lavoro, rosso o pistacchio o verde, mentre i loro cani, annusando per terra, abbaiano paurosamente alle scarpe in tripla e quadrupla suola, come a ricordi di scarpe ingranditi da un incubo. I capelli dei giovani sembrano scolpiti in un massello di bronzo, e il vento di maggio si spezza rabbiosamente contro i riccioli sottili che sporgono dalla testa. "Oh, se in quelle teste, ci fosse un po’ più di sale!" telefonava alla signorina Carboniello il direttore delle biblioteche di Nissa. "Ma forse la colpa è di chi scrive i soggetti!" E nella luce mite della biblioteca, mentre i tarli divoravano le parole entro i vecchi libri, Paolino Gorgoni vedeva minutamente quadri e scene di film, sussultava, dimagriva. Se qualcuno lo avesse chiamato a Roma!

 

A Roma lo chiamò l'ingegnere palermitano Leopoldo Dinatale, non quello che sparò sul proprio cavallo, ma l'altro, il cugino, il proprietario della società cinematografica Sics, e proprio con l'incarico di scrivere soggetti e stendere trattamenti. Così il direttore delle biblioteche si trovò di colpo nel cuore dei suoi sogni nisseni. Entrò nei gabinetti di lavoro dei "grandi produttori", cenò fra gli specchi, con la testa sempre voltata al Grande Ufficiale che sedeva a capotavola, come d'altronde tutte le venticinque teste dei commensali: vide, nei salotti del conte o del marchese, fra i quadri di De Chirico, gli orologi di vecchio legno segnare le due del mattino in mezzo al fumo delle sigarette. Si discuteva sui personaggi, le situazioni, i sentimenti, lei, la figura di lui, il paesaggio: "La ragazza non può farla che l'attrice Mazzuoli!"; "Però io conosco una studentessa di liceo che ha il viso più adatto!"; "La vostra cuginetta, volete dire?"; "Sì, Jolanda; non vi piace?"; "Mi piace moltissimo, ma, scusatemi, non so vederla in quella parte di donna sensuale... Forse perché conosco la madre, vostra zia, una signora così fine, così colta; e del resto anche la ragazza, Jolandina, l'ingenuità in persona..."; "Ma una parte, come quella di Miniera Rossa, può farla anche una ragazza ingenua!"; "Bisognerebbe vedere, scusatemi eh? ma per il quadro del secondo tempo è necessario, bisognerebbe vedere come ha le gambe, questa ragazza!"; "Giusto ho qui una fotografia balneare che facemmo insieme: lei è in costume da bagno... Eccola, guardate!"; "Caspita, che bella ragazza! Non la vedo da un anno; è cresciuta molto. Diamine che bella ragazza... E quella, in fondo, è vostra zia? Oh, Dio mio, è un po’ sciupata! Che vuol dire, il tempo! La ricordo, dieci anni fa..."; "Torniamo a parlare della sceneggiatura, vi prego"

Tutti cavarono la matita e stesero davanti a sé un foglio bianco. Il conte accese la pipa. "Da quello che ho capito," disse, "al Maggiore non piace la figura della nonna. Dite la verità, Maggiore: preferireste che quella vecchia, nel secondo tempo, non si facesse mai vedere?"; "Confesso la mia debolezza: quella vecchia mi è antipatica!"; "L'ingegnere, invece, vorrebbe che il film si aprisse con un inseguimento in automobile attraverso le montagne svizzere, anche per usare la bellissima macchina che c'è rimasta dal film precedente"; "E chi viaggia nella macchina?"; "Il protagonista"; "Ma il protagonista è un minatore"; "E perché dev'essere un minatore? Le persone di bassa condizione sociale non interessano il pubblico; facciamone un ingegnere delle miniere" "Si può farlo, ma perché viaggia in Svizzera?"; "Perché? Trovato... Il protagonista non è ingegnere, ma appunto minatore; ha rubato la macchina del suo ingegnere, e ora fugge in Svizzera!"; "Come faremo, però, a farlo tornare in Sicilia, nel paesino che abbiamo già costruito, e ci è costato un milione?"; "Ci vuole una trovata! Sentiamo il professor Gorgoni se ha qualche idea in proposito?"

Il direttore delle biblioteche arrossì fino alle orecchie. "Fatti onore!" gli disse piano l'ingegnere Dinatale. "Io, in verità," cominciò Gorgoni, "così su due piedi non saprei che dire. Perché in fondo questa Svizzera non ci entra affatto con la vicenda..."

"Eh, eh, mio caro: tutto può entrare in una vicenda. Su, sforzatevi, cercate: vi concediamo cinque minuti!"

Il direttore delle biblioteche sentì che il tempo scattava come una molla spezzata, e tra poco sarebbe stato il duemila. I cinque minuti erano già passati.

"Allora?"

"Sono molto nervoso. Quando presento una persona, mi accade sempre di dimenticarne il nome. Se mi ordinate di pensare subito qualche cosa, mi si chiude il cervello. Vi prego di concedermi un giorno!"

"E sia, un giorno! Andrete domani da Luigi Lambertini, il commediografo, e lavorerete insieme! Avete ancora bisogno di essere aiutato."

Il domani fu una giornata molto nera. Lo scrittore Lambertini fece sedere Gorgoni in un divano e gli offrì il tè, poi gli offrì un liquore, poi tornò a offrirgli il tè. "Dite quello che vi capita, qualunque cosa, anche sciocchezze, balordaggini; tutto serve!" disse lo scrittore a Gorgoni. Ma questi si sentiva la lingua tagliata. "Ebbene, non dite nulla? Vuol dire che penserò io qualche stupidaggine!" Lo scrittore si mise a girellare per la camera, canticchiando arie di vecchie operette, talune delle quali, cantate vicino al balcone, velavano i vetri. Poi si buttò in fondo a una poltrona. "Bene, bene, bene," mormorava. Infine tacque, e avrebbe somigliato al più silenzioso oggetto di una tomba se di quando in quando non avesse mandato uno sbadiglio rabbioso come il rantolo di un leone. Gorgoni si sentiva sbranare dalla noia e sussultava ogni volta. "Non ci fate caso!" disse lo scrittore, "noi delle Marche sbadigliamo continuamente!"

Era tardi, e scintillava la luna, quando i due si separarono. "Avremo qualche idea stanotte" disse lo scrittore.

Ma la notte non portò alcuna idea. L'indomani, il consigliere delegato della Sics storse il muso. "Un'ultima prova!" disse a Gorgoni. "Abbiamo girato un film con attori bambini; questi attori sono stati pagati fino al prossimo mese; possiamo dunque usarli per un corto metraggio. Pensate a un soggetto per bambini da svolgere in venti minuti di spettacolo! Andate e tornate con un'idea!"

Paolino Gorgoni si precipitò nella strada, entrò in una chiesa per pregare la Madonna di mandargli un'idea. Poi si mise a seguire un bambino che trottava al fianco di una donna, sicuro che il suo pedinato avrebbe detto o fatto qualcosa che potesse servire a un soggetto per film. Ma questo bambino non disse né fece nulla: continuò a trottare al fianco della donna, si fermò un istante per tirarsi su una calza, riprese a camminare, infine sparì dentro a un portone, issato in alto da un ascensore illuminato di luce verde. "Arrivederci," brontolò Gorgoni.

Poiché aveva due giorni di tempo, visitò alcune famiglie composte in gran parte di bambini; gettò rapidi sguardi sui lettucci disfatti; regalò dolci e giocattoli. Eccoli due che giocano! Gorgoni sgrana gli occhi e apre gli orecchi: "Voglio vedere un po’ cosa combinano!" Il ragazzo, di nove anni, telefona con un giocattolo a una bambina di otto anni. "Pronto?" dice lui. "Sei Teresa?... Io sono Mimmo... Che fai?" Ma d'un tratto, gridando: "Mi annoio!", butta via il telefono e scappa nell'altra stanza... Arrivederci anche a questi!

Un consigliere nazionale, suo amico, aveva un figlio prodigio, Gorgoni andò a vederlo, lo studiò; ma la notizia più importante, che riuscì a sapere sul conto di lui, fu questa: il bambino possedeva una infinità di giocattoli che presto però gli venivano in fastidio; allora li assaliva furiosamente, e quando non riusciva a spezzarli, chiamava il portinaio, un uomo mastodontico, che col martello doveva ridurre in pezzi le città di legno, gli autocarri, i treni, i fantocci. Il bambino, seduto su un canterano, batteva le mani: era il momento in cui si divertiva di più, l'unica vera gioia che gli avessero dato quei balocchi...

Scaduti i tre giorni, col cuore nero, Gorgoni telefonò al consigliere delegato della Sics. "Ebbene?" domandò il consigliere. "Che fanno, questi bambini?"

"Nulla: si annoiano!" rispose Gorgoni, guardando la valigia che fra poco lo avrebbe riaccompagnato a Nissa.

"La verità è che voi," ribatté l'altro, "non siete fatto per il cinema!"

"Può darsi!" mormorò Gorgoni.

Mogio mogio, e col biglietto ferroviario in tasca, percorse l'ultima volta il marciapiede destro di via Veneto: gli pareva di essere solo, così misero e vuoto era lo sguardo delle persone che passavano e di quelle che stavano sedute. Invece di facce, vedeva buchi nell'aria, punti morti, parentesi. Gli uomini non dicevano nulla con un rumore indiavolato di parole, e le donne avevano perduto mezza giornata a rendere scintillante negli occhi e marmorea nelle guance la totale mancanza di espressione. "O sono io esacerbato, o loro sono veramente così!" disse Gorgoni. Quel giorno stesso si mise in viaggio, e, dopo venti ore di treno, rientrò nella vecchia casa di Nissa: "Basta con queste sciocchezze! Torniamo ai libri!"

Ma la sera, quando, a causa di un guasto nell'impianto elettrico, che aveva spento tutte le lampade, entrò da lui la zia con una stearica in mano, ed egli vide avvicinarsi nel buio una faccia illuminata, una faccia che pareva essa sola il racconto di tutta una vita, lunga, angosciosa, singolarissima, Paolino si alzò dal tavolo, ripreso dal batticuore. "Zia," disse piano piano, avvicinandosi alla vecchia, "ti piacerebbe fare del cinema? Troverei un bellissimo soggetto per te!"

"Sei impazzito," esclamò la donna. "Se la buonanima di tuo padre avesse sentito che mi dicevi una cosa simile, chissà come si sarebbe dispiaciuto."

"E' vero!" ammise Paolino. E andò a letto presto.

Sogno di un valzer e altri racconti
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