Postulanti dell'era che fu

 

 

Gli uomini hanno sempre bisogno di qualcosa: i più tranquilli e superbi a vedersi, i più sicuri di sé, e soddisfatti, e stabili, con una vita ripiena sino all'orlo di vanità appagate, anche questi, come i più nudi fra i mendicanti, hanno da stendere la mano perché il destino vi lasci finalmente cadere quello che essi aspettano da tanto tempo, in un silenzioso e represso tormento, che li ha bruciati e bucati sino alle midolla, senza che essi quasi se ne accorgessero.

Questo, io lo sapevo; ma non lo avevo ancora veduto. A Calabretta, molti, moltissimi anni addietro, mi accadde di vederlo spesso: mi accadde di vederlo ogni volta che rientrava nella casa paterna, da Roma, il giovane e potente Ministro Luigi Pollina.

Subito la città si metteva in subbuglio. Persone, che mi avevano sempre guardato con alterezza, io le vidi salire, con uno sguardo timido e tremolante, per le scale semibuie della vecchia casa Pollina. Riempivano l'anticamera, si spingevano nel corridoio; i più arditi, con la scusa di parentele e amicizie, che li avrebbero legati ai personaggi morti di cui si vedevano i ritratti scoloriti sulle pareti, azzardavano qualche passo vicino alla porta dello stanzino da bagno, e, trattenendo il fiato, udivano il Ministro sguazzare nella vasca, palparsi la carne, e fischiettare dolcemente: "Le domande, le risposte, il colore della veste..."

Il giovane, da parte sua, percepiva un leggero raspare, quasi di gatti, sull'imposta dello stanzino e, come da certi colpi di tosse, invano premuti nella pelliccia del soprabito, indovinava la presenza dell'avvocato erariale, così, da un leggero fischio di naso, capiva che il Rettore dell'Università appoggiava il ventre o una coscia al battente della porta. Schizzato allora fuori della vasca, e avvoltosi in un asciugamano di spugna rosa, Luigi andava a sporgere la testa dal finestrino del bagno, rispondente sulla corte, e faceva cenni al portiere perché tirasse la corda della campana appesa alla ringhiera della cucina contigua. Subito si affacciava la cameriera Rosa, e il giovane, con cenni più forti, accompagnati questi da mezze parole, esortava la vecchia donna a liberare il corridoio... Con un pesticciare di mandra, la folla rientrava nel salotto, e Luigi poteva raggiungere lietamente la sua camera da letto. Vestitosi nel migliore dei modi, lasciava la camera e, attraverso una scaletta piena di vecchi tricicli, e pupazzi, e guantoni, balocchi superstiti della propria fanciullezza non poi tanto remota, inciampando frettolosamente nei malinconici ruderi di una felicità perduta, passava nella casa di un vicino, e di qui usciva nella scala, e quindi nella strada.

Ma queste accorte manovre non sortivano sempre un pieno successo. Chi ha bisogno di qualcosa diventa furbo più del diavolo. Il vicequestore, per esempio, non commetteva mai la sciocchezza di cercare il Ministro nella casa paterna; egli lo aspettava, per ore e ore, ai piedi della scala, seduto su uno sgabello da calzolaio. Il portinaio guadagnava trenta lire al giorno con l'affitto di questo sgabello. Ma non era solo lui a trarre profitto dalla presenza del Ministro a Calabretta: il lustrascarpe, che lavorava vicino al portone di casa Pollina, non aveva il tempo di grattarsi la testa, in quei giorni. Diecine di persone, che per l'innanzi s'erano portate a casa croste di fango, tornavano ogni due ore a lustrarsi le scarpe, e dicevano: "Ancora un altro po’ di vernice!", con gli occhi sempre fissi al portone. Quando il Ministro varcava la soglia, balzavano dal tronetto, col cartone ancora dentro una scarpa e un pantalone rimboccato, e mettevano dietro i passi lesti del giovane il loro strano passo ora di una scarpa lucida ora di una scarpa matta, ora di un pantalone rimboccato ora di un pantalone disteso. Le tasche del Ministro si riempivano di foglietti, buste, cartoncini. Quando egli, finalmente liberatosi dalla turba, trottava solo per il viale che lo conduceva da un'amica, un suo vecchio amore, sentiva che i pantaloni e la giacca stridevano piano piano di un rumore di carta, quasi spremendo in un modo impercettibile le parole disperate che si trovavano scritte nei fogli: perché Sollima non è ancora cav. Uff.? perché lasciar languire a Cosenza il segretario comunale Fecarotta? perché non nominare segr. il figlio di Scannapieco? perché niente accademia di San Luca all'architetto Paoluci? perché non si pensa finalmente a nominare senatore il prof' Antonucci? a promuovere viceprefetto il consigliere Baldacci? perché la stampa fa la congiura del silenzio ai danni del romanziere calabrettese Ottavio Molfeta? Perché? Perché, diavolo? Luigi sentiva questi perché pizzicargli la carne attraverso la fodera delle tasche, ma non cedette mai all'impulso di gettar via quei fogli, perché era un bravissimo giovane, e avrebbe aiutato volentieri tutti i suoi concittadini, uno per uno...

Soltanto che non voleva, né poteva del resto, vederli tutti. Quando si trovava a Calabretta, la sua capacità di sognare (la Sicilia ha dato a poche persone una mente più fervida che a lui) diventava così forte che una sera poté passare due ore di piena felicità con gli occhi fissi a una pianta di basilico posata sul davanzale. Egli poteva sognare anche su un cappello ammaccato o su un paio di occhiali lesionati: ma bisognava che questi occhiali e questo cappello non si muovessero. Insomma, le cose del suo paese gli si consumavano dentro la fantasticheria, facendola scintillare di più, come pezzi di carbone nel fuoco; gli uomini, invece, lo svegliavano. Così egli cercava in tutti i modi di aiutarli, ma insieme di non vederli.

 

Però doveva fare i conti con la madre, la più santa e gaia donna di questo mondo. Ella non vedeva i difetti delle persone, ma solo i loro bisogni, ed era quindi inutile dirle: "Ma questo è un ladro, ha sparato contro lo zio, ha finto di essere pazzo per bastonare al circolo il presidente del Tribunale..." Ella scuoteva la bellissima testa: "Povero figlio!" mormorava. "La gente non sa quello che dice! Ha una fame che se lo mangia vivo!" E quando il salotto era pieno di gente prendeva Luigi per una mano e, dicendogli "Zitto! Vieni con me!", lo conduceva tra le facce pallide, impiastricciate di un pavido sorriso, che avevano da balbettare, da chiedere, se possibile, un colpo di telefono, una lettera, una parolina...

Un mattino, ella entrò nella camera del figlio ancora buia: "Luigi!" mormorò, "Luigino, svegliati: c'è il farmacista!"

"Mammà, ti prego!" fece il figlio, strofinando sul cuscino la testa addormentata, "digli che non ci sono! Ci fa cascare la casa addosso, quel brav'uomo!"

"Ma sta zitto, zitto! Che dici? Il farmacista era amico di tuo padre! Su, ascoltalo un momento!"

Luigi, ripiombando nel sonno più fitto, sentì che la madre usciva e richiudeva la porta.

Ma poco dopo, dovette svegliarsi per uno strano rumore che ronzava nel buio. "Chi è?" fece.

"Perdonatemi!" gli rispose una voce rauca, mentre due mani si posavano brancolando sulla sua camicia, "sono il farmacista! Vostra madre mi ha lasciato qui!"

"Che caspita combina mia madre?" gridò il Ministro, cercando invano il tasto della lampada, che l'ospite, barcollando nel buio, aveva rovesciato sul pavimento.

"Eccellenza mio!" mormorava l'altro, "io non mi sarei permesso mai e poi mai... E' stata la signora vostra madre che, bontà sua, ha voluto... Ecco, è una santa donna... Ha voluto che io mangiassi... e bevessi anche... Il vino non mi fa bene... Sono un uomo debole! Quand'ero giovane, eccellenza, ero forte... ma da quando mi sposai, posso dire che basta un soffio per buttarmi sul pavimento!"

"Bene, bene!" diceva Pollina, cercando col piede le pantofole; e saltato fuori del letto, andò alla finestra, e spalancò le imposte. Un raggio di sole penetrò violentissimo, suscitando nel fondo della camera un tonfo che fece aggricchiare le spalle di Luigi.

"Vuoi vedere che questo sciagurato?" Infatti era vero: voltatosi lentamente, e quasi con ripugnanza, Luigi dovette constatare che il farmacista s'era disteso lungo sul letto, con le scarpe umide di vernice e il cappello serrato per una falda tra le dita rigide. Il vecchietto aveva chiuso gli occhi e fiatava a bocca aperta sul cuscino, mentre, dalla tasca della giacca, premuta con forza contro il materasso, gli usciva lentamente la fotografia di un bellissimo giovane in costume da bagno. "Al mio adorato papà il suo figliuolo Nino", stava scritto ai piedi del cartoncino.

Luigi lasciò la camera, che si riempiva di puzza di vino, e corse nel corridoio a cercare la madre. "Mamma," si mise a gridare, "mi corichi le persone nel mio letto!"

"Lo devi aiutare, Luigino!" rispose la madre soavissima. "Gli è morto l'unico figlio, non è nemmeno tre mesi!"

In quel momento, nella camera del Ministro, si udì un "Posso?" e il faccione vermiglio del Rettore dell'Università sporse nel vano della porta, gli scopettoni brizzolati: "Eccellenza, posso? Che fa? dorme? Vestito? Signore Iddio, chi vedo! Diavolo, diavolo, diavolo, chi vedo? Qui bisogna metterci riparo!" E corso a un angolo del corridoio, il Rettore si abbracciò alla stufa di ferro, premendovi contro la pancia.

Sogno di un valzer e altri racconti
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