Una conferenza di trampolini al Lyceum di Catania
Quando il professor Trampolini appare nella sala del Lyceum, gremita di signore, il crepuscolo ha fatto delle vetrate una specie di materia cangiante, che è, a volte a volte, arazzo, parete luminosa, cielo.
La presidente del Lyceum ha ordinato di accendere le lampade il più tardi che sia possibile. L'attenzione delle signore si è fatta così più intima e piena di dedizione, come l'amore, che profitta del buio.
L'oratore è un po’ indeciso. Tossisce, beve, rimescola alcune cartelle di appunti che ha in mano.
Poi di colpo, inizia la sua conferenza:
Signore,
un vecchio pregiudizio vuole che alle donne non si possa parlare se non di piccole cose superficiali. Anche ieri, un mio discepolo mi proponeva come temi di questa conferenza: "I balli nel Settecento" o "La civetteria della Pompadour" o "La cucina presso gli antichi e i moderni"
Stavo per accettare questi consigli, quando un improvviso scatto di intelligenza mi condusse a scegliere un tema assai più solenne e profondo: "La morte vista dalla vita"
Contrariamente al mio discepolo e in barba al vecchio pregiudizio, io credo che soltanto con le donne si debba parlare di idee gravi e tormentose.
Non è un paradosso quello che io vi dico; è una verità fatta vedere all'improvviso, perché, o signore - è bene che lo sappiate - io amo i colpi di scena del pensiero.
Voi donne possedete una superficialità che non ha soltanto il beato compito di non comprendere, ma ha anche quello di smorzare, di attutire, di snervare, quasi, le idee troppo dolorose e dispotiche.
Voi togliete al pensiero quanto esso ha di più tragico: la chiarezza, la profondità, la paura.
Fatevi esporre da una signorina la trama del Don Chisciotte. Domandatele chi è Don Chisciotte. Ella vi ridurrà il grande poema a un seguito di avventure amorose in cui il cavaliere della Mancia farà la cattiva figura del gaffeur.
Di interessante non ci sarà che l'eccessiva gentilezza delle cortigiane nella taverna. Di orribile non ci sarà che l'odor di cipolla emanante dalle mani di Dulcines del Toboso.
L'infinita ingenuità del protagonista; la forza di derisione che è nelle cose reali, quando un'illusione tenta spodestarle; il dramma umano del sognatore, tutto sarà eliminato da una magnifica superficialità.
Magnifica! E non lo dico invano. Perché è un'opera altamente umanitaria questa di spargere una sottile e ristorante imbecillità nel mondo.
Troppo s'è pensato, troppo s'è immaginato, troppo ci si è tormentati, stando all'impiedi, fra il mistero della nascita e il mistero della fine. Nel breve attimo della vita, accanto ai loro morti che dormivano, non sappiamo se angosciosamente o placidamente, se con sordità o con infinita coscienza, gli uomini hanno cercato disperatamente di sapere chi erano essi e di chi erano quei muti cadaveri, distesi ai loro piedi.
S'è così accumulata, sulla faccia della terra, una massa di idee cupe, di domande alle quali nessuno risponderà, di disillusioni, di incubi...
Voi donne avete un compito, di cui nessuno può disconoscere l'immenso valore.
Voi donne placate queste idee, addormentate i mostri del pensiero; nei vostri ingenui travisamenti, riflettete, deformandole e addolcendole, le immagini troppo spaventose della fantasia umana.
Se debbo essere sincero, siete più utili voi che i diversi Kant e i diversi Hegel. Anzi, questi Kant e questi Hegel sarebbero insopportabili e avrebbero a quest'ora distrutto la vita, se voi non aveste mansuefatto la parte più crudele dei loro sistemi.
Ecco, o gentili signore, perché io vi parlerò oggi di un problema assai grave.
Se questo problema fosse stato discusso dai miei amici filosofi, intorno a un tavolo della Birreria, esso avrebbe fatto sentire, nel modo più insopportabile, l'enorme stupidità di esistere.
Qui, fra voi, così profumate, così eleganti, con tanta divina idiozia negli occhi, io posso parlare del mistero della morte senza alcun timore. E' dolce per me, dopo aver detto qualcuna delle domande senza risposta che le diverse generazioni ripetono, come il grido lugubre dei dormienti, che hanno sogni cattivi e non possono svegliarsi; è dolce per me vedere nel vostro bellissimo volto l'indifferenza gioiosa di chi non ha compreso.
Voi mi insegnate, in tal modo, come, nella vita, si possa sorridere sempre. Guardando poi quella giovinetta, in fondo (dico a lei, signorina; ma non arrossisca per questo), guardando quella giovinetta che da mezz'ora non fa che accennare alla mia cravatta, la quale, al solito, si sarà ritirata verso destra, io comincio a pensare se non valga più un nodo ben fatto che un'idea bene espressa. E col rammarico, che io provo, o gentili signore, nel vedermi così poco elegante e stilizzato, risorgono in me tutti i sani istinti della vita: quello di piacere alle donne, quello di correggermi, quello di vendicarmi.
Una fresca e magica ondata di pensieri superficiali mi purifica l'anima di tutte le malinconie, di tutte le paure, di tutte le disperazioni. Non c'è più il nulla o l'eternità dinanzi a me. C'è lo specchio e quella luce rossa che viene di traverso, la maledetta, e mi impedisce di vedere un angolo del colletto. Mi infischio e strainfischio, o gentili signore, dell'eternità e del nulla, purché la cravatta si raccolga docilmente intorno alle mie dita.
Ecco: il nodo è riuscito armonioso e senza pieghe.
Oh, infinita gioia di esserne l'autore e di portarlo sulla camicia!
(Segni di ilarità, subito repressi, nel timore di apparire più sciocche di quanto l'oratore sospetti.)
Ora io vi parlerò del mistero della morte, sicuro di poterne parlare lietamente, mentre voi sedete qui, intorno a me.
Domani, quando sarò solo nella mia camera, io non oserò leggere sui giornali il testo della mia conferenza.
Ed ora concediamoci cinque minuti di riposo.
Alcuni applausi salutano le ultime parole di Trampolini. Applausi leggeri, nella sordina dei guanti.
La presidente e la vicepresidente del Lyceum vanno a congratularsi con l'oratore.
La signora Licciardelli, tenendogli stretta la mano fra le sue, morbide e grasse, gli dice maternamente: "Bravo, bravo, caro professore! Ma ci avete trattato un po’ male. Non tutte siamo superficiali. Il Don Chisciotte, secondo me, è un grande romanzo, pieno di torture dell'anima, e Dulcines del Toboso, pur essendo una contadina, può ben valere una principessa. Quelli che contano, mio caro amico, sono i buoni costumi."
Trampolini sorride col particolare sorriso di coloro che, nel passato, portavano folti baffi ed ora hanno le labbra allo scoperto. Vale a dire: sorriso molto sincero, nell'illusione di essere invisibile.
"Fate male a non crederci," gli dice la vicepresidente.
In quel momento, vengono accese le lampade e Trampolini risale sulla pedana.
Egli comincia a parlare, della morte che, secondo lui, è la cosa più seria di cui si possa parlare nella vita.
Quando l'oratore, descrivendo le diverse allegorie, con cui i poeti rappresentano l'esistenza, rievoca la nave dalle vele nere, la signora Maria Andreis, che possiede anche lei una nave, ma ben forte, vera e rapida, si sovviene di un suo viaggio in Grecia.
Era la primavera. Sulla nave si trovavano soltanto cinque donne. I marinai, abituati a vedere sulle facce degli altri i soliti baffi e la solita barba s'erano innamorati pazzamente di quei cinque volti delicati. Il capitano sognava, il pilota aveva perduto la testa. La nave errava così di qua e di là, sbagliando continuamente la rotta e investendo barche da pesca.
"Una nave fantasma!" pensava la signora Andreis con gli occhi socchiusi. "Come quella dei poeti. E poi dicono che noi donne non sappiamo trovare certe rassomiglianze profonde o non siamo capaci di fare della filosofia!"