L'angelica Maria

 

 

In un anno della guerra, non ricordo più quale, si attendò nel bosco di Nicolosi, sull'Etna, un battaglione di quarantenni e di cinquantenni, che avevano più reumi che cinturoni, le lingue impastate, il cuore amaro, e spesso, radendosi la barba di sette giorni, buttavano via lo specchio, prima a terra, poi, con un calcio, nell'aria, credendo così di restituire al diavolo, non tanto quel povero pezzo di vetro quanto la sgraziata faccia che in esso avevano rimirato.

Tenente del battaglione era un grosso uomo di trent'anni che, nonostante la sua età, era da tutti rispettato, solo perché la sera, alle sette in punto, allorché il bosco taceva come il più profondo dei seni celesti, si metteva a gridare: "La bolognese! La toscana! La triestina!" chiamando, dal vuoto del passato, le donne che gli erano apparse ogni sera, grasse, nude, l'una dietro l'altra su una scala a chiocciola, in talune casacce che egli frequentava da quando aveva sedici anni. "La bolognese! La triestina! La palermitana!... Porco di! Sangue di! Dove siete? Perché devo passare la vita senza la grazia di Dio? Perché devo consumarmi così?"

Dopo questi scoppi di parolacce, taceva, e, più profondamente di lui, taceva il bosco; e i soldati della Territoriale si sdraiavano sui giacigli accanto ai loro reumi.

Ma un giorno, questo tenente si recò nella casa di un sobborgo vicino, e la sera tornò mogio mogio come un cane bastonato: aveva conosciuto la nipote del parroco, una ragazza, una certa Maria, e ora gli mancava l'animo di gridare come al solito: "La bolognese! La triestina! La napoletana!"

Per quindici giorni, egli si recò ogni mattina in casa del prete e ogni volta, alle sette di sera, gli mancò la parola per rompere il silenzio del bosco che, solenne e nero come non mai, pareva sfidarlo e provocarlo.

Dopo tre settimane, quest'uomo rozzo era innamorato, e inciampava camminando come se pensasse sempre di avere uno scalino sotto i piedi.

"Perché sono innamorato?" diceva. "Ma perché sono innamorato? Ma chi mi ci porta ad essere innamorato? Ci voleva anche questa, che fossi innamorato!"

Giurava ogni sera che l'indomani non si sarebbe recato nella casetta del sobborgo; ma l'indomani, eccolo per le scale, con un fiato affannoso, la mano al colletto sudicio per allentarlo, il pesante cuore che gli risuonava dentro il petto come un campanaccio.

Una sera stabilì di chiedere a quest'angelica Maria se volesse sposarlo: tre ore dopo si svegliò cercando la rivoltella per ammazzarsi, dato che, sposandosi, la sua vita era terminata... ma l'indomani, eccolo salire piano piano la scala del prete, fermandosi su ogni gradino.

"Ma perché? ma perché," gridava entro i denti, tenendoli stretti per non far uscire quei gridi insensati. "Perché, diavolo? Perché devo fare questo? Perché mi devo incatenare mani e piedi? Questa sgualdrina!" aggiungeva col pallore di chi bestemmia Maria Vergine, e sa di sputare verso il punto più alto del cielo: "Questa porca, questa cagnaccia rognosa, questa ruffiana, questa zoccola!"

Ma dieci minuti dopo, eccolo seduto ai piedi della ragazza, in un profumo di rose bagnate, mentre il cuore gli tremava leggero leggero e dalla bocca gli sfugge non sa bene se un'Ave Maria, un'aria di Bellini o una domanda di matrimonio.

Il vecchio zio tossisce nell'altra stanza, inginocchiato davanti all'altare di legno; la tenda di velo esce fra le imposte socchiuse sul balcone, vola fra i vasetti di fiori, li ravvolge rapidissima, e di nuovo, per la fessura delle imposte, rientra nella camera; una, due, tre corde della chitarra, a cui la ragazza appoggia le spalle e la mano nervosa, ronzano piano.

Il grosso tenente, che ieri cercava una rivoltella per ammazzarsi, crede di avere messo il piede sulla soglia del paradiso.

Per venti giorni si vide quest'enorme soldato salire le scale del prete come un bue che vada al macello; il cuore gli scoppiava di rozzezza; la felicità, che, fra poco, aprendosi la porticina del pianerottolo, lo avrebbe inondato dalla testa ai calcagni, gli torceva le viscere come qualcosa a cui tutto il corpo repugni; "Sgualdrina!" ripeteva fra i denti. "Sgualdrina!" vendicandosi, in questo modo empio, dell'esser capitato nelle mani di una santa.

Dopo quei venti giorni, si diede alla fuga, portando, come una scudisciata, il ricordo di una purità e gioia indegne di lui. Aveva ottenuto di trasferirsi nel versante opposto dell'Etna, in un grosso paese.

Un anno dopo, anch'io mi rifugiavo in quel paese dell'Etna e fui costretto a litigare con quest'uomo rumoroso che turbava il silenzio della notte.

Fui costretto a minacciarlo, poi a pregarlo di smettere, e infine ad accettarlo come compagno di tressette. Gl'inglesi e gli americani bombardavano le città e i borghi vicini, e noi ci eravamo abituati a quei sinistri rumori a ciascuno dei quali corrispondeva spesso la morte di una o più persone. Un giorno, mentre giocavamo a tressette, udimmo uno di quei rumori, ma più fioco del solito e con un che di sonoro verso la fine. Il grosso tenente, che sedeva di fronte a me, si alzò di scatto, fece una piroetta su se stesso, e cascò. Ci vollero dieci minuti di cure per farlo rinvenire... L'indomani apprendemmo che il rumore, sentito il giorno avanti, era stato quello di una bomba scoppiata presso il bosco di Nicolosi: la nipote del prete era stata uccisa.

Sogno di un valzer e altri racconti
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