Un uomo di fede
Ci son quelli che hanno bisogno di dire una bugia a ogni parola. (Nel Matrimonio di Gogol, Tecla dice: "Ma sì che capisco! Ci si presentò anche un consigliere di Corte, ma fu respinto. Non piacque. Aveva una brutta abitudine: ad ogni parola, una bugia. Era un personaggio distinto, sapete! Come fare? Anche a lui, poverino, dispiaceva; ma non poteva farne a meno! Una bugia, magari piccola, doveva dirla. Eh! Era la volontà di Dio!") I timidi specialmente, coloro che hanno pensato sempre di far molto, e sempre hanno fatto poco, nel raccontare il loro passato, pigliano per buono e già attuato ogni loro proposito: e ad essi certamente, e a un possibile motto per la loro bandiera, pensava il poeta D'Annunzio quando scrisse i noti versi:
Quel che non ho fatto/ io lo sognai,/ e tanto fu l'ardore/ che il sogno uguagliò l'atto./
Di bugiardi le città sono piene; ogni popolo, civile o barbarico che sia, ne conta a migliaia; nella sconfitta e nella vittoria, con gli eserciti che fuggono e con quelli che inseguono, va di corsa un numero rilevante di bugiardi; e non è raro il caso che, piegandosi attorno a una culla, in cui un tenero e confuso essere vivente manda il primo vagito, la rispettabile famiglia, il nonno eccellenza, le signore zie, il padre consigliere, l'ostetrico professore d'università, si pieghi in verità attorno a un futuro bugiardo; né la madre indovina che la piccola bocca, mollemente attaccata al suo seno, fra quindici o vent'anni ne sballerà di tutti i colori.
Ma noi non vogliamo parlare dei bugiardi.
Preso il filo di quest'argomento, corriamo anzi al capo opposto, e troviamo il credulone. Ecco qui il nostro amico Prospero, con la sua faccia gonfia di sangue e giovialità, tanto gonfia che spesso, in aprile, vi si affacciano, come tante altre faccine, dei grossi foruncoli. Egli non ha bisogno di dire bugie: ha bisogno di sentirne. Coloro che non gli mentiscono lo fanno star male; la semplice verità gli comunica un disagio penoso come uno sbadiglio per mille volte interrotto a metà.
Guardiamolo da lontano, mentre, in un angolo del salotto, stringe di domande e poi ascolta un colonnello! Il suo aspetto è avvilito, la sua bocca pende amaramente, sull'occhio senza luce gli pesano le palpebre: segno che il colonnello dice la verità. Ma ecco, d'un tratto, l'occhio di Prospero lampeggiare, il viso riempirsi di sangue, la lingua saltar fuori della bocca. Che è avvenuto? Il colonnello ha mentito, il bravo colonnello ha detto la sua brava menzogna.
Nessuno di noi vorrà essere duro col colonnello, se questi avrà confidato che un siluro, lanciato da Catania, arriva a Genova, si ferma un attimo e ritorna. Con Prospero, non si può fare a meno di mentire: la sua faccia sollecita, chiama, invoca dalla bocca più seria la menzogna. Quante volte, uomini pacifici hanno dato uno schiaffo unicamente perché la guancia del loro interlocutore era fatta in modo che la mano si alzava da sola e andava a posarvisi con violenza?
Ebbene, Prospero strappa le menzogne. E non gli bastano le menzogne piccole! Queste gli procurano un minutissimo piacere, non più lungo e largo di quello che procura un uccellino nella bocca di un elefante. Bisogna che le bugie siano grosse, complicate, miste di alti personaggi e vocaboli stranieri significanti oggetti mai esistiti. Un cacciatore che uccida con un fucile un esercito navigante entro la pancia di balene imbalsamate, certo gli fa piacere. Ma un cacciatore che uccida lo stesso esercito con un rucans (arma inventata da poco, consistente in una freccia che lancia lampade rosse, perforanti e accecanti), lo fa svenire dalla gioia. Egli è nato per credere, egli è disposto a credere, egli ha una tale forza di credulità che non gli basterà l'intera vita per consumarla.
Chi ha da far credere una cosa, vada da lui! La sua testa ha detto sempre di sì, e questo amabile dondolio gli è diventato un tic appena appena visibile.
Dio santo, che cosa non gli è stato inventato, che cosa non gli si è detto? I più emeriti bugiardi sono usciti dalla sua casa con la coda fra le gambe. Nei balli di fine d'anno in prefettura, gli presentano Martin Lutero e Kant, e lo fanno ballare con Greta Garbo. Napoleone non è morto: vive, ed egli, Prospero, ha combattuto ai suoi ordini.
Ma le menzogne, che lo fanno tremare dalla gioia e danno al suo occhio sinistro un continuo moto di occhio di triglia, son quelle che riguardano la sua persona. "Santo cielo, Prospero, ma tu sei altissimo! Uno alto come te dove lo trovi?", "Che forza, figlio di un cane! E chi resiste alla stretta della tua mano?", "Genio sei, Prospero, genio!"
Egli è in grado di prestar fede che spesso, non potendola prestare agli uomini, momentaneamente assenti, la presta alle cose. Eccolo credere al campanello della porta. Inginocchiato sul divano, egli dice a fior di labbra: "Io credo in te, campanello della porta!" Voi mi direte: "Crede in Dio?" Eh, eh, questa di credere in Dio è una vecchia storia! A lui non piace. E poi in Dio credono troppe persone... Comunque, se volete, crede anche in Dio. Ma lasciatelo in pace su quest'argomento.
Con questa frase, apparentemente oscura, Prospero vuol dire: "Io credo in te, campanello! Tu dondoli leggermente, e mi dici che il re d'Egitto è dietro la porta e cerca di me. Ebbene, io ci credo, campanello della porta!"