Paese di montagna
Non è vero che nei piccoli paesi il tempo scorra lentamente e un anno somigli a un secolo. Vero è invece il contrario. A Nn, cittadina di mezza montagna, il tempo vola; gli anni si succedono l'uno all'altro con una facilità che fa dire: brr a chi, dopo aver strappato dall'almanacco l'ultimo foglietto del Ventuno, si ritrova a strappare l'ultimo foglietto del Ventidue; i villeggianti di un autunno già non si distinguono più da quelli di un altro autunno.
Nei primi di settembre, Nn, che per tutto l'anno ha guardato il mare lontano, dai suoi campanili coperti di neve e da un'ombra perpetua di nuvole, vede arrivare alcuni villeggianti che rimangono fino alla seconda metà d'ottobre. Poi la bella stagione si chiude; le nuvole, che del resto non hanno mai lasciato la montagna, s'ingrandiscono a perdita d'occhio, e un pomeriggio di domenica senza concerti musicali annunzia che l'inverno è prossimo e d'ora in poi la luce, nella via principale e nella piazzetta, si spegnerà alle nove di sera.
L'inverno, sebbene il freddo sia forte, non è completamente buio; per intere settimane, Nn guarda il mare lontano e basso brillare come in maggio. Si ha l'impressione di vedere un mattino di luce, oltre l'immensa finestra di uno stanzone freddo e scuro. Le giornate sono tutte uguali, dall'alba al tramonto, quasi fossero una sola; e come una sola giornata passa l'inverno. Poi viene la primavera; ma anch'essa sceglie un suo tipo di giornata e continuamente per tre mesi la ripete... Così, un bel giorno, senza che nessuno riesca a capire come sia avvenuto, ecco di nuovo il cielo d'estate, che pare tagli la montagna, ed ecco di nuovo l'autunno.
Monotona è la vita; ma per questo non è pesante e noiosa. Anzi, è di una leggerezza che farebbe paura, se il particolare effetto di quella monotonia non fosse proprio l'assenza della paura, insieme a una delicata sfiducia e a una rinunzia piacevole a sperare.
Quando le due sorelle, Berta e Giovanna Dell'Alba, la cugina Rosa Leonardi e la giovane zia di questa, Enrica Leonardi, furono costrette, per ragioni economiche, a ritirarsi a Nn, gli amici, che le avevano viste brillare nei saloni da ballo e nelle spiagge, pensarono a certe "sofferenze terribili" e a "nostalgie da non si dire" Invece, le ragazze si adattarono alla vita del paese e presto, senza dolore e senza rimpianti, con la strana letizia di un dormiveglia, videro la loro vita fuggire.
Come si trascorreva il tempo a Nn, durante l'inverno? In un modo molto semplice... Prima di tutto, bisognava svegliarsi alle dieci. "Piuttosto dopo che prima" raccomandava il vecchio nonno Dell'Alba: altrimenti la giornata sarebbe stata interminabile. Colei che soffrì un poco ad adattarsi fu Enrica Leonardi; ma siccome era una donna forte e di volontà, quando i suoi occhi s'aprivano troppo presto, accendeva la lampada del capezzale e rileggeva le lettere di un giovane che le era stato imposto come fidanzato e ch'ella aveva quasi odiato ed era alla fine riuscita a respingere. Subito la riprendeva un sonno leggero e trepido come un desiderio di fuggire; e a poco a poco si formò sulle sue palpebre una paura, piccola come una mano, che, se prima delle dieci il sonno accennava a terminare, s'abbassava piano piano a premere - e il sonno continuava.
Alle undici, da una finestra del palazzo Dell'Alba, sventolava una vecchia sciarpa bianca. Alle due Leonardi, che d'ora in ora andavano ai vetri del balcone, questo diceva che le cugine avevano preso il bagno e s'apprestavano a far colazione. Mezz'ora dopo, la sciarpa bianca veniva ritirata e le sorelle Leonardi si recavano nel palazzo Dell'Alba. Un'operazione simile veniva eseguita nel pomeriggio.
Le riunioni si svolgevano nel salone di casa Dell'Alba perché era molto largo e riscaldato dal più grande camino che esistesse a Nn. Le ragazze fumavano, suonavano dei dischi e parlavano dei piccoli flirt dell'autunno. Questi discorsi si continuavano, in primavera e in estate, sotto i castagni, alle porte del paese. In autunno si passava ai flirt, ch'erano sempre diversi da come s'era previsto: e poi di nuovo in inverno se ne parlava.
Ma già in quei discorsi entrava qualcosa di monotono e mite: una certa confusione che si ripeteva sempre allo stesso modo. Ad un dato momento, dopo l'episodio della gita nel bosco, sorgeva sempre la questione se lo scherzo della gobba finta, con la quale alcuni giovanotti erano apparsi di notte, fosse avvenuto nell'ottantuno o nell'ottantadue. Era una lite sempre uguale, in cui Rosa Dell'Alba diceva a Enrica Leonardi una frase come: "Basta con la prepotenza!" al che le ragazze ridevano ed Enrica, si capisce, non diventava più rossa come la prima volta. In sostanza, quei discorsi erano ormai dolci e amabili, per la sola ragione che avrebbero potuto non farsi.
Così passavano gli anni. Un giorno, Enrica Leonardi fu richiesta in matrimonio; un mese dopo, si celebrò il fidanzamento. Tutto questo arrecò un certo disordine nella vita delle ragazze, ed Enrica fu per un momento guardata male... Non era invidia o rancore quello che brillava negli occhi delle cugine e della nipote, ma un sentimento di offesa e di fastidio.
Quando ella partì, la sera delle nozze, il dolore fu sincero in tutti. Ma poi le sue lettere, inviate da città lontane, con le continue descrizioni di un moto d'uomini e di luci che in un paese come Nn ormai sembrava inventato, furono accolte male. Si decise ch'ella mentiva; e poiché non volevano più battere e trepidare per cose tanto diverse dalla neve che cade, dal camino con le legna e dal fracasso isolato del portone di ferro che si chiude alle sette di sera, i piccoli cuori delle cugine e della nipote rinunziarono ad amarla. Nelle conversazioni, in cui sempre risorgeva la questione se lo scherzo della gobba finta, con la quale alcuni giovanotti erano apparsi di notte, fosse avvenuto nell'ottantuno o nell'ottantadue, Enrica Leonardi venne chiamata "la sballona" o "quella lì", e si narrava di lei uno strano episodio.
Qualche volta le tre ragazze si recavano in città; vedevano i negozi, le porte dei teatri e, nelle vetrine dei fotografi, le immagini delle amiche in veli bianchi accanto a sconosciuti in frak e a bambine sonnacchiose. Il che suscitava nella loro anima un insieme di pena e di disagio che tutt'e tre, sapendo ormai ch'era inutile rimpiangere o sperare un ritorno in città, avevano stabilito di chiamar noia.
"E' veramente noiosa la vita, qui!" diceva Giovanna Dell'Alba, e guardava negli occhi Rosa Leonardi.
Una sera, però, in una piccola strada ove morivano pianamente i rumori cittadini, si udì qualcuno, certamente una ragazza, suonare al piano. La strada era quasi deserta e in alto, sopra una ringhiera di terrazza, brillavano le stelle.
"Non torneremo più," disse Giovanna.
"Certo, resteremo lì. Che c'è di male?" aggiunse, allarmata, Rosa Leonardi.
"Per tutta la vita!"
Ma non fu che un attimo; e poco dopo, a un'amica che chiedeva se il tempo a Nn si potesse veramente far passare, risposero con uno scoppio di risa.
"Dev'essere spaventevole, un anno, in quel paese!" insistette l'amica.
No, non era spaventevole a Nn il passaggio d'un anno; e nemmeno quello di cinque e dieci anni.
Ormai per le tre ragazze tutto era facile: dormire, tacere, parlare, non veder nulla, vedere la neve, sopportare il freddo, il caldo, pensare al matrimonio, non pensarvi.
Alle otto di sera, già le loro palpebre si abbassavano; e per un'ora tutt'e tre sonnecchiavano nelle poltrone; l'indomani si svegliavano tardi, continuamente più tardi. Il sonno è dolce e abitua sempre meglio a dormire; e poi suscita l'appetito, la sete, il desiderio di non muoversi. I piaceri del pasto divennero acutissimi nelle tre ragazze: la carne rossa d'inverno o la frutta d'estate suscitava loro, ai primi morsi, una vera emozione.
Arrossivano, quando lo zio, conoscendo i gusti delle nipoti, tornava in fretta a casa, per annunziare dai piedi dello scalone: "Oggi lacerto!"
Via via che la giovinezza s'allontanava, quella vita si faceva più facile e rada. Non si parlava più dello scherzo della gobba, e le lunghe conversazioni di un giorno erano ridotte a piccole frasi, talora sconnesse. Per esempio, il piede di Rosa Leonardi, ingrossato dalla podagra veniva chiamato: "Il vecchio monaco"; e su questo s'impiantava ogni genere di scherzi: "Oggi il vecchio monaco sonnecchia", "il vecchio monaco ha preso il bagno", "tu pensi col vecchio monaco" Di Berta Dell'Alba, si diceva ogni momento: "Berta filava" volendo così far capire che Berta non desiderava né filare né ricamare. Berta, infatti, voleva sonnecchiare e mangiar carne rossa o frutta. E un giorno parve anche che volesse morire. Invece, guarì.
L'autunno non portava più nuovi flirt. Ma ciò non suscitava nelle tre cugine alcuna malinconia: il flirt era piacevole soltanto perché si potesse parlare di qualche cosa in cui entrasse un villeggiante. Si poteva ancora parlare di ciò a proposito di altre ragazze.
Così la vecchiezza entrò nella loro vita con la semplicità del cane che trova l'uscio aperto. Non uscivano più, e abitavano tutt'e tre nello stesso palazzo. Ma non soffrivano nemmeno per questo. Il giorno in cui Rosa Leonardi morì, Berta e Giovanna piansero un poco; ma non si può dire che soffrissero; né le atterriva il pensiero di una vecchiezza solitaria nel grande salone e dinnanzi al più grande camino che avesse Nn. Anzi, parve che la morte della cugina avesse loro data la libertà di mangiare tutta la carne che volevano, perché Rosa Leonardi era un'ottima figliuola, sì, ma aveva la mania dell'igiene e qualche volta piangeva, pensando a tutta la carne che aveva inghiottito.
Qualcuno, fuori, parlava della "nostalgia", del "dolore" di queste due sorelle prigioniere in una casa antica. Ma in verità nel loro cuore non c'era più stato, da molti e molti anni, né il dolore né la nostalgia. E la loro vita, considerate le ore in cui avevano dormito, le altre in cui avevano mangiato o bevuto e le altre in cui, non facendo e non desiderando nulla, avevano con molta precisione imitato il sonno - la loro vita di settantenni era breve come quella dei morti precoci.
Il giorno stesso in cui l'ultima Dell'Alba morì, dalla città si ritirava a Nn, per ragioni economiche, un altro gruppo di signorine.