Il piccolo servitore
Quando il piccolo sarò fu assunto al servizio di casa Parti non aveva compiuto nove anni. Le cameriere non potevano durarla in quella casa, perché i maschi, dal nipote al nonno, avevano tutti le mani lunghe. Finalmente, dopo anni di pazienza, la signora radunò la famiglia, e disse: "Abbiamo capito: donne qui non ce ne possono stare! Prenderemo un ragazzo!"
Saretto era gracile, veloce, malaticcio, freddoloso, allegro. Portava sempre il berretto calcato sulle orecchie, una sciarpa al collo, le gambe nude, i piedi nudi nelle scarpe da uomo. Non camminava mai: correva. Le sue gambe si mettevano subito a correre, senza che egli però le aiutasse col moto delle braccia e delle spalle. Come le ruote di un trenino, delle quali, appena tolta la mano, si scarica la corda, così le sue gambe, da ferme che erano, al minimo richiamo, si davano a sforbiciare l'aria rapidamente, portando quel ragazzo aggricchiato dal freddo giù per le scale o per il corridoio o da una parete all'altra di una camera. "Perché corri così, diamine?" gli diceva il nonno. "E cammina come un cristiano!" Una notte, che s'era appisolato aspettando il più giovane dei padroni, al rumore che fece costui entrando, Saretto balzò dalla sedia, e, ancora con gli occhi chiusi, si precipitò fuori dalla porta, rotolando dagli scalini fin sulla strada.
"Questo qui," diceva il nonno, che non sapeva perdonargli il fatto di non essere donna, e l'odiava, "una qualche notte, Dio ce ne scampi e liberi, mi si spiaccica sul letto come una blatta con le ali!"
"E' un bambino buonissimo!" ribatteva la signora.
". Verde in faccia come ramarro!"
Saretto stava accoccolato nel corridoio, fischiettando allegramente.
"E non fischiare!" gli gridò dalla sua camera il più giovane dei figli. "Devo leggere, corpo del demonio. Non ci puoi stare, un minuto, senza fischiare?"
"Zitto!" mormorò a Saretto la signora, apparendo nel corridoio con un dito sulle labbra.
"Sissignora!" fece Saretto.
"Questo bambino è sporco!" esclamò il padre che dormicchiava in una poltrona dello studio.
"Ma non glielo fate sentire!" mormorò la moglie accorrendo da quella parte. "Non è vero ch'è sporco!"
"Vieni qui, Saretto!" gridò il padre.
Saretto rotolò velocissimo nello studio, fischiettando debolmente.
"Avvicinati, e rovescia le tasche dei pantaloni!" comandò il padre.
Saretto rovesciò le tasche dei pantaloni da cui piovvero a terra, come chicchi di uva passa, una ventina di mosche morte.
"Ammazza le mosche e le conserva in tasca!" denunciò solamente il padre.
"Sì, commendatore," disse Saretto felice, credendo di venire lodato da quell'uomo che egli ammirava sino al punto di stare accosciato lungamente dietro il filo di una porta per vedergli aggrottare le sopracciglia e sporgere il muso mentre leggeva i giornali.
"Sì, ma è una vera porcheria!" gridò il commendatore.
"Io gli ho visto leccare uno spazzolino da denti!" aggiunse il figlio maggiore, entrando nello studio in veste da camera.
"Il mio!" gridò il nonno da lontano. "Il mio certamente."
Saretto, credendo che il vecchio lo chiamasse, si precipitò da lui.
"Che diavolo vuoi?" gli fece il nonno. "Non ti ho chiamato!" E poi a bassa voce: "Quanto sei brutto, natura capricciosa! Sembri una scimmia! Ti chiamerò la scimmia, d'ora in avanti. Ti piace?"
"Nossignore!" fece il ragazzo addolorato; ma poi si corresse: "Sissignore!" Ammirava tutti, in quella casa: nonno, padre e figli gli somigliavano alle statue che stavano erette sulla facciata della cattedrale; e li amava talmente da credersi riamato a sua volta.
"I miei padroni sono cinque!" dichiarava con orgoglio, nel cortile, allorché, profittando dell'assenza della signora, uno di quei cinque lo cacciava fuori di casa.
L'unica noia gliela davano i nomignoli. Quando il nonno lo chiamava e gli diceva sbavandosi di gioia: "Oggi ti voglio appioppare cinque nomignoli nuovi. Sta a sentire!" Saretto si sentiva preso dall'inquietudine e avrebbe voluto trovarsi a casa sua, legato al rampino della porta, così come lo lasciava la zia il sabato, per andare a spasso senza il timore ch'egli si buttasse sotto una macchina.
"Qual è stato l'ultimo nomignolo che ti ho messo?" faceva il nonno.
Il ragazzo s'imbronciava e non diceva nulla.
"Mi pare che sia stato scimmia ballerina. Vediamo se ti piacciono quelli di oggi. Ascoltami bene. Primo, tarantola; secondo, mangiamosche; terzo, pelledipulce; quarto, pigliabotte; quinto... quinto... Come diavolo era il quinto? Me l'hai fatto dimenticare! A un galantuomo gli cascano le parole dalla mente vedendoti così brutto come sei! Va via, corpo del diavolo, via!"
Il ragazzo rotolava al punto opposto della casa.
"Tua madre è una pazza!" diceva il nonno al nipote Ercolino che entrava da lui in quel momento. "Quando mai s'è sentito che un bambino bada alle faccende a cui deve badare una donna?"
"Ma a me non mi importerebbe nulla che ci badasse un uomo piuttosto che una donna," diceva ipocritamente Ercolino. "Purché fosse pulito!"
"E già, e già! Dici giusto: purché fosse pulito!"
"Questo bambino è sudicio come uno strofinaccio!"
"Tua madre sostiene di no!"
Saretto in verità non era sudicio. Al contrario! Correva ogni due minuti a lavarsi nel catino, e non s'era potuto guarire dalla bronchite per via del bagno che ogni sera prendeva nella fontana pubblica. Ma ai primi di maggio, gli capitò una disgrazia: prese le pulci. Sedutosi nel cortile, ai piedi di un grosso mercante che esponeva il suo proposito di comprare una nave fumando il sigaro con una mano e grattandosi con l'altra le caviglie, Saretto si caricò in tal modo di pulci che la notte non poté dormire.
"Aspetta, aspetta un momento!" gli disse Ercolino l'indomani, dopo averlo osservato attentamente.
Saretto tremò come una foglia: si sentiva camminare milioni di pulci per tutto il corpo, se le sentiva grandi come api sulla faccia, credeva che, se gli avessero strappato il berretto, uno stridore indiavolato di pulci sarebbe schizzato fino al tetto.
"Ma questa è una pulce!" disse Ercolino trionfante, e gli tirò dal viso un puntino nero.
"Una?" fece il nonno fuori di sé dalla gioia. "E questa non è un'altra?" e anche lui tirò un insetto dal viso del ragazzo.
Tutti i maschi della famiglia furono subito attorno a Saretto e fecero a gara a trovargli pulci addosso.
"Ora," disse il commendatore alla moglie, schiacciando anche lui la sua pulce sull'unghia del pollice, "ora basta! Spero che non vorrai tenerlo!"
"Signora," biascicò Saretto, "lasciate che mi pulisca bene! E se mi troverete, non dico una pulce, ma una mosca addosso, mi caccerete!"
"Ma, figlio mio, come farai?" mormorò la signora già rassegnata a mandarlo via.
"Datemi un giorno di tempo!"
"E va bene!"
La notte, il piccolo sarò entrò nella fontana pubblica vestito e con le scarpe, e vi tenne immerso se stesso e le pulci finché credette che queste fossero tutte annegate. Quando, uscito soddisfatto dall'acqua, fatti dieci passi, si sentì di nuovo camminare un puntino sul collo, tornò a precipizio nella fontana e vi stette un'altra ora.
L'indomani prese la febbre, entrò in delirio, parlò delle pulci, confermò che gli stava bene il nomignolo di soldino-che-rotola, ma negò di meritare quello di fischietto stonato; e tre giorni dopo, morì.