Il vecchio conte

 

 

"Vede laggiù, avvocato? Quello lì che svolta è il mio migliore amico."

Laggiù, dietro gli alberi imbiancati dalla polvere, svoltava in quel momento un corteo funebre.

Il vecchio conte si passò il fucile dalla destra alla sinistra, e si mise a guardare per la campagna.

"Un amico che se ne va," disse poi e, preso da uno scoppio di rabbia, imbracciò il fucile e sparò due colpi contro la cima di un albero... Guardò cadere le foglie dall'alto; guardò il ramo che s'era fatto scheletrico, e la nuvoletta di polvere che s'allontanava lentamente nel cielo.

"Come mai non è andata al funerale?" domandai io.

"Non ne ho la forza; non ne ho la forza..."

In quel momento, lo guardai: aveva un'espressione fredda e precisa, come l'hanno i vecchi che in giovinezza non sono stati brutti; gli occhi, di un azzurro diafano e smorto, avrebbero potuto accogliere e far sparire nella loro calma irremovibile tutto quanto esiste di violento; sentivo, dinnanzi a quegli occhi, una certa solidarietà fra me e i monti e gli alberi e le stesse nuvole, fra me e tutte le altre cose che annegavano in quei piccoli occhi senza lasciare traccia.

"Lo amava molto?" domandai ancora.

Egli mi fissò in silenzio, si pose il fucile sotto il braccio come un ombrello e mi precedette nel viale che conduceva al castello.

Era agosto. Io rimasi in quella contrada fino alla metà d'ottobre. Nelle prime due settimane, vidi il conte quasi ogni giorno. Poi non lo vidi che raramente, ma sentivo da un suo cameriere, amico del mio guardaboschi, parlare spesso di lui. Era stato sempre un uomo freddo - così raccontava il cameriere - ma ora sembrava di ghiaccio. Era indifferente a tutto: una sera, dei ladri erano entrati nel castello; ed egli, sprofondato in una poltrona, nel buio li aveva seguiti, in tutto quello che avevano fatto, senza fiatare. Quello che avevano fatto consisteva in un furto di duecentomila lire. Al cameriere che l'indomani voleva "chiamare la Giustizia", aveva dato un colpo di frustino sulla faccia. "Eccola la Giustizia!" gli aveva gridato. E per tutta la giornata, andò brontolando: "La Giustizia... La Giustizia..."

Quando lo rividi, prima di partire, egli era apparentemente diverso, ma in sostanza la sua natura aveva fatto dei progressi sulla via della freddezza e dell'indifferenza. Fingeva di interessarsi alla storia, all'agricoltura e ai viaggi, ma fingeva così male da far pensare che, oltre del fatto che fra l'America e l'Europa ci sono cinque giorni di viaggio, e le viti bisogna proteggerle dal vento con le siepi, e Napoleone fu sconfitto a Waterloo, non gli importava nulla anche della sua finzione d'uomo che s'interessa a queste cose.

Così non comprendevo perché volesse pronunziare tante parole su quegli argomenti; ma poco dopo ebbi l'impressione che mi facesse una boccaccia. Invece, mi mostrava la lingua: "Vede com'è bianca?" e mi spiegò che, per pulirla, doveva continuamente agitarla nell'esercizio della parola. "E' il mio metodo" aggiunse. Poi mi strinse la mano: "Lei parte? Fa molto bene. Partir est un peu mourir..."

Non sapeva cosa aggiungere. Voleva dire forse qualche parola gentile, ma non gli riusciva facile e ripeteva a caso dei proverbi: "A uomo che va, uomo viene. Addio. La fortuna ha le gambe corte... Addio."

 

Lo rividi due anni dopo, quasi al buio. Era stato arrestato sotto l'accusa di avere "favorito la morte" del suo migliore amico, col quale aveva litigato durante una partita di caccia. Si trattava proprio dell'"amico" che io avevo visto per l'ultima volta sparire fra gli alberi.

Il vecchio conte sedeva sopra una panca e aveva sempre quel suo sguardo diradato e lontano, come la luce che arriva ancora sulla terra, mentre le stelle da cui proviene sono morte da secoli.

"Avvocato, lei mi conosce," disse egli con lo stesso tono di voce, con cui, un giorno, mi aveva parlato di agricoltura, di storia e di viaggi.

"E' molto difficile conoscerla, signor conte!"

Intorno, c'era un odore di muffa e un rumore indistinto di passi che andavano lentamente in su e in giù.

Mi confessò che era stato proprio lui a uccidere il suo amico, in un momento di collera.

"Ha dei rimorsi?" gli domandai io, meno preoccupato nella mia parte di difensore che dello strano personaggio.

"Giovanotto," rispose egli, "io sono troppo vecchio e non ho più tempo per nulla nemmeno per i rimorsi. Del resto, non ci si vendica mai abbastanza della sorte infame che ci ha tolto la giovinezza. E' una cosa nefanda togliere la giovinezza a un uomo... Guardi qui."

E mi mostrò una piccola fotografia sbiadita, in cui egli, forse ventenne, stava seduto in mezzo a un gruppo di donne e di cani.

"Dunque, lei si vendica della vecchiezza, che le è stata inflitta da Dio, col rifiutare il senso morale?"

"E sì," rispose egli, con lo sguardo scintillante di ardore logico. "Il senso morale ci viene da Lui. Ebbene, lo rifiuto; mi vendico di Lui. Quando ero giovane, ero anche buono."

Il tono con cui disse quelle parole era così sfacciatamente falso che non era possibile protestare.

"Conte," mi limitai a dire, mostrandogli un angolo della fotografia, "guardi qui."

Egli si curvò a guardare:

"Cosa c'è?"

"Anche a quel tempo, lei sapeva odiare. Ha osservato lo sguardo di questo giovanotto verso la ragazza bionda che gli siede a destra? Mi pare che non sia uno sguardo d'amore."

Il vecchio rifletté un momento.

"Certo, non è d'amore. Certo."

"E allora?"

"Eh, che ne so io? Che volete da me? Ve la sbrigate voi? Io non ho più tempo per queste noie... Sono vecchio. La "cosa" riguarda soltanto voi. Cercate, vedete, se v'interessa. E' affare vostro, siete voi che dovete vivere. Io ho finito."

"Ho l'impressione che questa "cosa" non l'abbia interessata mai." Sul momento, non ebbi risposta.

"Forse è vero," disse poi egli, e guardò la parete della cella, su cui la finestra proiettava un'ombra vaga di sbarre, come di croci. Quindi si mise, con un gesto meccanico, a grattarsi un ginocchio, senza mai staccare gli occhi dalla parete. Il suo viso completamente sbarbato, il suo cranio calvo e il freddo che spirava da ogni sua parola e da tutta la sua persona, mi fecero domandare, con un senso che mai aveva avuto per me quella domanda, chi fosse quell'uomo e che cosa lo aspettasse.

"Io," disse egli piano piano, "non so più che sia..." E avvicinatosi alla parete, mise la mano nel fascio di luce che veniva dalla finestra, in modo che l'ombra delle dita si proiettasse insieme a quella delle sbarre.

Sentii allora ch'è meno pietoso impazzire, morire di rimorsi che non averne affatto. Quell'uomo, privo di senso morale, non era mai esistito veramente: era peggio di un morto.

"E' un gran mistero," disse ancora egli, ritirando la mano.

Ma in realtà nulla apparteneva a quel vecchio, nemmeno il mistero. Egli ripeteva delle frasi fatte, senza capirne il significato.

Quando, venti giorni dopo, lo condannarono a vita, sentii che fra le mura massiccie, nell'ombra perpetua, egli spariva come una pietra in un pozzo.

Sogno di un valzer e altri racconti
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