Calunnia richiesta

 

 

Una sera, si sparse la voce che Luigi, noto e brillante personaggio della buona società, era morto.

Il fatto che Luigi fosse morto era senza dubbio doloroso, ma non aveva nulla di anormale, essendo un uomo del gran mondo soggetto anche lui a quel profondo impallidire e tacere per sempre di cui parlano i poeti. Un monocolo, pieno di una grande storia di sguardi, sarebbe rimasto immobile sopra un canterano; giacche a tre bottoni, alti colletti, sciarpe di seta e cravatte avrebbero perduto il loro fascino su corpi ben diversi da quello di Luigi; ma in fondo, tutto si sarebbe concluso entro i limiti del dolore e della malinconia.

Invece il guaio fu che, non appena la notizia si sparse per la città, e arrivò nei quartieri del centro, illuminati a gas, in viuzze brulicanti di marinai, raggiungendo pensioni e piccoli alloggi, tutte le ragazze della pensione "Fior d'Arancio" sognarono Luigi. Fu uno spavento generale. Vedevano lui nello specchio e nel letto, vedevano il suo soprabito di pelo nella poltrona e sulla parete. Saltate giù dal letto, svegliarono la direttrice, la cameriera e la portinaia, illuminarono a giorno i salotti ancora pieni di fumo di sigaretta. "Dio mio! Dio mio!" facevano, battendo i denti e cercando invano, entro le cornici delle pareti, un'immagine sacra. "Tutte insieme abbiamo sognato la stessa persona morta! Che vuol dire?" La direttrice tentò di calmarle; le costrinse a bere acqua bollita con foglie di alloro, ma non riuscì a impedire che dormissero tutte in un letto, rattratte e avviticchiate, mormorando ciascuna sul petto e il collo dell'altra il nome della Madonna.

Da questo punto, cominciò lo scandalo.

Perché se non era affatto anormale che Luigi fosse morto, era addirittura sbalorditivo che le donne di quella pensione avessero sognato Luigi. Dove lo avevano visto? Come lo conoscevano?

Luigi, da vent'anni, abitava una villetta fuori le mura della città. Tutte le piante che salgono, si arrampicano, fanno ombra, madreselve, begonie, celastri, glicine, gelsomini, pervinche, erano state convocate da lui perché nascondessero la casa. Le piante avevano fatto del loro meglio. Un numero infinito di fusti, rami e foglie seppelliva la villetta. Erano ben noti in città il rumore indiavolato che il vento faceva entro quel giardino, e i lamenti delle donne di servizio di Luigi per il fatto che, in autunno, non si finiva mai di cacciare con la scopa foglie morte fuori delle stanze. E un'altra cosa era ben nota in città: che Luigi era un uomo irresistibile. Come quando si pronuncia la parola tifone, i marinai pensano all'Oceano Indiano, così ogni volta che in questa città si pronunziava la parola tradimento o adulterio, le menti correvano alla villetta di Luigi, al piccolissimo cancello, alle siepi di rampicanti, alle tendine damascate.

Come poteva, dunque, un uomo simile esser conosciuto dalle ragazze della pensione "Fior d'Arancio"?

Evidentemente, si trattava di un fenomeno molto singolare: quelle ragazze avevano sognato uno sconosciuto. La grandezza del fenomeno non fu per nulla diminuita dal fatto che, l'indomani, si venne a sapere come Luigi fosse vivo e vegeto.

La vecchia baronessa Divigi, persona oltremodo intelligente, da qualche anno convertita all'antroposofia, vide chiaramente nel comune sogno di quelle ragazze l'annuncio che a Catania stesse per nascere un centro di mediazione con l'al di là. Ma prima di comunicare la notizia al direttore di una rivista svizzera, e di arrivare comunque ad una conclusione, dichiarò ch'era indispensabile sapere se le ragazze avessero conosciuto Luigi in questa vita o in una vita precedente. La baronessa voleva interrogare direttamente, e alla presenza di molte signore, una ragazza della pensione. Ma la cosa non parve semplice. Quale salotto avrebbe potuto accogliere una donna simile? I giovani fratelli erano inquieti, i mariti non lo erano di meno. Finalmente si decise di stendere un velluto sopra l'angolo di un salone della baronessa, e ivi nascondere la ragazza, che avrebbe risposto alle domande, rimanendo invisibile. Così fu fatto. La baronessa e le signore si disposero in circolo davanti a quel sipario di velluto, che talvolta si gonfiava di un braccio o di un ginocchio della ragazza. Il dialogo fu, in un primo tempo, molto penoso. La ragazza tossiva continuamente e rispondeva con evidenti bugie. Ma quando la baronessa spinse la sua cortesia fino a introdurre entro la tenda tutto il braccio, porgendo prima un bicchiere, poi una bottiglia, la ragazza fu presa da una grande allegria, smise le bugie, e disse, oltre le cose richieste, altre che aveva giurato di non rivelare mai. Sì, Luigi era un assiduo della pensione "Fior d'Arancio"; egli arrivava a tarda sera, con una bottiglia e una torta, e si rifugiava nella sala da pranzo. Questa sua abitudine risaliva al principio del nostro secolo. Le ragazze della pensione, inginocchiate vicino a lui, con un piccolo Vangelo, che egli soleva portare in tasca e mettere nelle loro mani, dovevano tutte giurare che non avrebbero mai confidato ad alcuno di conoscere Luigi...

A questo punto, la ragazza, pentita delle sue parole, scoppiò in un pianto dirotto. Le signore rimasero interdette. Mai singhiozzi così forti, misti di tosse e sospiri, erano risuonati sotto la volta di un salone: dietro quel sipario, si agitava un dolore forsennato, i cui gesti muovevano il velluto come un vento di tempesta. Si poteva abbandonare, in tal modo, una creatura umana, e assistere alla sua vera sofferenza, sedute in circolo, come a un balletto? La prima ad alzarsi fu una giovane duchessa, poi due signorine, la baronessa, la contessa, donna Quinci, donna Quindi, infine tutte le signore. La ragazza fu portata alla luce del lampadario, sotto la quale sorrise, respirò confortata, e rivelò ancora nuovi particolari sulla vita intima di Luigi.

Così fu assodato che il famoso dongiovanni viveva la vita di un ragazzo scapolo. Si cominciò a dubitare di tutte le sue conquiste. Le signore, che non avevano mai smentito con molto calore alcune voci sui proprî e i di lui riguardi, finalmente le smentirono con calore. Una cameriera parlò... Infine, due signorine, fingendo di raccogliere adesioni per una festa di beneficenza, varcarono il piccolo cancello della villetta, fecero stridere quella ghiaia misteriosa, frusciare le muraiole. Entrarono nella villa quasi deserta. Luigi non c'era; la cameriera cuciva un tappeto sulla torretta, il cameriere s'era addormentato ubbriaco nella legnaia.

Le stanze avevano l'odore dei vecchi armadi; i tendaggi, appena toccati, si sminuzzavano e perdevano in una nube di perla; una porta, appena tirata, uscì dai cardini. Le due signorine camminarono in punta di piedi per corridoi e salotti, finché si trovarono davanti a una vecchia minuscola, collocata, come un bambino, sopra una sediolina. Lo sguardo di questa signora era così stranamente infantile che le ragazze portarono la mano alla bocca per non gridare; e fuggirono.

Si seppe, dopo, che la vecchia signora era la zia materna di Luigi, colpita, trent'anni avanti, dall'ebetismo. Da trent'anni, Luigi, ritirato in quella casa, nella fitta ombra delle muraiole e delle rose rampicanti (nella quale tante persone, in sogno, avevano visto svolgersi scene e fatti per cui si svegliavano rosse in viso) circondava la vecchia signora di cure tenerissime. Ogni mezz'ora, alzandosi di scatto dalla poltrona in cui soleva sonnecchiare, correva a lei per farle ingoiare o uno sciroppo o un'acqua medicinale, e spesso trascorreva ore intere, con la mano della cara vecchia nella sua, recitando poesie di Carducci a cui la signora sorrideva beata come al più lieto degli spettacoli. "Tu, Luigino, sei un santo!" ripeteva la piccola vecchia, e anche i camerieri ne convenivano; ma avevan dovuto giurare, inginocchiati col piccolo Vangelo fra le mani, come le ragazze della pensione, di non confidarlo a nessuno.

Ogni volta che Luigi si alzava dalla poltrona per recarsi dalla zia, inforcava il monocolo e si aggiustava la sciarpa di seta intorno al collo. Per le stanze, che attraversava con passo leggero, rimaneva l'odore dei profumi ambrati e cedrini, che egli soleva spargersi sui capelli e le sopracciglia, e ogni specchio rifletteva gli svolazzi della sua veste da camera cinese e i ricami colorati delle sue pantofole. Per la vecchia aria della stanza, tra i mobili solenni e tarlati, e i cortinaggi abitati dalla polvere, si spargeva un forte odore di peccato. Ma quella sciarpa di seta, quel monocolo, quella veste da camera cinese e quelle pantofole assistevano, poco dopo, ad atti che più umani e pietosi non ha visto nemmeno il soggolo bianco di una suora di carità.

Sogno di un valzer e altri racconti
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