I padroni dell'isola

 

 

Diario. Vulcano, luglio.

Da cinque giorni in quest'isola vulcanica, a mezz'ora di barca da Lipari.

Il mare luccica da ogni parte, chiuso da ogni parte fra rupi nere, ritte, con le corna; dai crepacci, che si aprono mollemente e in silenzio, fuma lo zolfo; una spiaggia è tutta di zolfo, e l'acqua che la bagna va bollendo; nell'interno, la terra è arida e nerastra, le canne vi nascono già fradice, il verde delle vigne è sospetto come il colorito dei febbricitanti. Il corvo svolazza a uncino sulla campagna, e di tanto in tanto precipita come un'ancora senza catena.

Quest'isola ha una storia singolare.

I Borboni la regalarono a un signore inglese che non volle mai abitarla. Mandò in vece sua un amministratore, un certo Harley, se ho capito bene il nome, un uomo gelido e decadente che sguinzagliò subito per tutta l'isola dei cani feroci il cui urlo e sgretolare di denti teneva al largo qualunque estraneo.

Si fece costruire un palazzo neoclassico, con portici e colonne e spianò dei viali lunghissimi per i quali, ogni pomeriggio, passava tintinnando con la sua quadriga di cavalli neri.

Era un uomo inospitale, e stabiliva immediatamente, fra sé e gli altri, una corrente di dispetto. I cani, accarezzati dalla sua mano, lievemente pelosa e sempre con le dita strette, si facevano più feroci, come gatti strofinati contropelo; i barcaioli rispondevano al suo sguardo con la promessa di diventare il meno umani che riuscisse possibile alla loro indole mediterranea; i cavalli, appena egli li sfiorava con la frusta, s'abbassavano sui garetti, e volavano con il visibile intento di buttarsi a chiodo nel mare, all'orlo del quale però un urlo secco del padrone li arrestava e immobilizzava come simulacri.

Un pomeriggio, i due figli di Harley, nonostante il divieto del padre, presero una barca e salparono per Lipari.

Il mare era furiosissimo, e l'odore dello zolfo, sbattuto giù dal vento, irritava le gole dei sempre esacerbati abitanti dell'isola, uomini o animali che fossero.

D'un tratto, la barca dei giovani Harley salì al cielo e ripiombò capovolta.

Harley, avvertito dai servi, era già sulla riva, con le braccia conserte e il frustino sotto l'ascella. I pochi marinai presenti, ansiosi di portare aiuto ai naufraghi, tirarono rapidamente e faticosamente un lungo barcone fuori della sabbia e lo spinsero fra gli urti spaventosi del mare.

Ma Harley li fermò con lo sguardo.

"No!" disse, "no!"

I marinai mogi mogi ritirarono la barca sulla sabbia, si fecero il segno della croce e diedero le spalle al mare, a cui invece Harley continuava a stare rivolto. Di tanto in tanto gettavano una sbirciatina sul viso di lui, cercando di leggervi cos'andasse accadendo ai due poveri sciagurati rimasti in preda alle onde.

Ma il viso del padrone era impassibile, gli occhi vitrei non specchiavano nulla, il naso diritto sembrava, come sempre, vuoto d'aria e di respiro. D'un tratto, una smorfia di dispetto vi si disegnò come un fulmine. Harley si volse, salì con un salto sulla quadriga, frustò i cavalli e disparve. Un minuto dopo, arrivavano stremati, zuppi, seminudi, pallidissimi, i due giovani figli.

La notte, il palazzo rimaneva illuminato: con l'intensità e la costanza di chi si applichi a uno studio, Harley beveva; ogni tanto, veniva sulla terrazza e s'appoggiava alla balaustra, perfettamente immoto, lasciandosi penetrare dal silenzio del mare e del cielo come dal gelo necessario al suo cuore freddissimo.

Un giorno però, mentre egli sedeva solo solo alla sua lunga tavola, i cani emisero un gemito: poco dopo, un crepaccio si aprì nel pavimento e un soffione di zolfo riempì la stanza di puzza e di luce verdastra. Subito il soffitto s'inclinò, le colonne si contorsero, un fumo intollerabile avvolse ogni cosa.

Il cuore fa dei brutti scherzi. Per sessant'anni, il cuore di Harley era stato coperto di gelo: d'un tratto, esplose in un sentimento di paura. Tutti gli animali che tremano, senza il soccorso e i freni della ragione, senza la speranza che un ricordo, una parola, un'idea venga a salvarli, ebbero in quest'uomo il peggiore esemplare di se stessi.

Harley fuggì a testa bassa verso la riva, si cacciò in una barca, respingendo a colpi di remo i cani che volevano seguirlo e di cui egli aveva ormai un misterioso fastidio come di complici pericolosi, e, remando col fiato tra i denti, sempre a testa bassa, s'allontanò verso Lipari.

Non volle mai più tornare a Vulcano che vendette a tre cittadini di Lipari.

Di questi, due avevano dovuto contrarre gravi debiti per procurarsi la somma richiesta da Harley. Dopo pochi anni, scadenze e interessi li oppressero a tal punto che furono costretti a svendere le loro due parti a un certo signor Fav.... Questi era un siciliano ricco, pigro e pieno di pregiudizi. Per lui era importante possedere: mettere il proprio nome su una distesa di terra. Le cose disonorevoli erano due: vendere, perché voleva dire trovarsi in cattive acque; e coltivare eccessivamente le proprie terre, perché voleva dire spremerle, avere bisogno, supplicare alberi ed erbe di fargli la carità di una rendita straordinaria.

Con queste leggi applicate con tanto scrupolo che egli non solo non coltivò eccessivamente le sue terre, ma non le coltivò affatto, il signor Fav. visse e morì.

Oggi le proprietarie di due terzi di Vulcano sono due signorine anziane. I crateri di Vulcano sono due: ciascuna signorina Fav. ne possiede uno, con tutto il territorio circostante. Non vogliono vendere e non vogliono coltivare. In questa terra arida, basta scavare per una profondità di quattro metri, come ha fatto un animoso italoamericano, il signor Ferlazzi, e l'acqua zampilla. Tre mesi di lavoro intenso, e quest'isola infernale sorriderebbe.

Ma qui non si coltiva né si vende.

Le due padrone abitano a Lipari e le sere d'estate guardano da lontano i loro crateri.

"E' il tuo che fuma?" dice una sorella all'altra.

"Sì, è il mio. Ma mi pare che anche il tuo mandi puzza di zolfo."

Seggono al balcone di una casa modesta e poggiano la fronte contro la ringhiera di ferro. Non sognano, non sperano, non temono, non hanno bisogno di nulla. In un simile stato, il sonno arriva subito: basta reclinare la testa e il cervello, vuoto di pensieri, si riempie di una tenebra densa.

Così s'addormentano. A distanza, dietro le loro palpebre abbassate, i due loro crateri si vanno riempiendo di luce lunare che, mista al verde e al rossigno della pietra, riverbera intorno intorno una luce da oreficeria del diavolo.

Sogno di un valzer e altri racconti
titlepage.xhtml
content0001.xhtml
content0002.xhtml
content0003.xhtml
content0004.xhtml
content0005.xhtml
content0006.xhtml
content0007.xhtml
content0008.xhtml
content0009.xhtml
content0010.xhtml
content0011.xhtml
content0012.xhtml
content0013.xhtml
content0014.xhtml
content0015.xhtml
content0016.xhtml
content0017.xhtml
content0018.xhtml
content0019.xhtml
content0020.xhtml
content0021.xhtml
content0022.xhtml
content0023.xhtml
content0024.xhtml
content0025.xhtml
content0026.xhtml
content0027.xhtml
content0028.xhtml
content0029.xhtml
content0030.xhtml
content0031.xhtml
content0032.xhtml
content0033.xhtml
content0034.xhtml
content0035.xhtml
content0036.xhtml
content0037.xhtml
content0038.xhtml
content0039.xhtml
content0040.xhtml
content0041.xhtml
content0042.xhtml
content0043.xhtml
content0044.xhtml
content0045.xhtml
content0046.xhtml
content0047.xhtml
content0048.xhtml
content0049.xhtml
content0050.xhtml
content0051.xhtml
content0052.xhtml
content0053.xhtml
content0054.xhtml
content0055.xhtml
content0056.xhtml
content0057.xhtml
content0058.xhtml
content0059.xhtml
content0060.xhtml
content0061.xhtml
content0062.xhtml
content0063.xhtml
content0064.xhtml
content0065.xhtml
content0066.xhtml
content0067.xhtml
content0068.xhtml
content0069.xhtml
content0070.xhtml
content0071.xhtml
content0072.xhtml
content0073.xhtml
content0074.xhtml
content0075.xhtml
content0076.xhtml
content0077.xhtml
content0078.xhtml
content0079.xhtml
content0080.xhtml
content0081.xhtml
content0082.xhtml
content0083.xhtml
content0084.xhtml
content0085.xhtml
content0086.xhtml
content0087.xhtml
content0088.xhtml
content0089.xhtml
content0090.xhtml
content0091.xhtml
content0092.xhtml
content0093.xhtml
content0094.xhtml
content0095.xhtml
content0096.xhtml
content0097.xhtml
content0098.xhtml
content0099.xhtml
content0100.xhtml
content0101.xhtml
content0102.xhtml
content0103.xhtml
content0104.xhtml
content0105.xhtml
content0106.xhtml
content0107.xhtml
content0108.xhtml
content0109.xhtml
content0110.xhtml
content0111.xhtml
content0112.xhtml
content0113.xhtml
content0114.xhtml
content0115.xhtml
content0116.xhtml
content0117.xhtml
content0118.xhtml
content0119.xhtml
content0120.xhtml
content0121.xhtml
content0122.xhtml
content0123.xhtml
content0124.xhtml
content0125.xhtml
content0126.xhtml
content0127.xhtml
content0128.xhtml
content0129.xhtml
content0130.xhtml
content0131.xhtml
content0132.xhtml
content0133.xhtml
content0134.xhtml
content0135.xhtml
content0136.xhtml
content0137.xhtml
content0138.xhtml
content0139.xhtml
content0140.xhtml
content0141.xhtml
content0142.xhtml
content0143.xhtml
content0144.xhtml
content0145.xhtml
content0146.xhtml
content0147.xhtml
content0148.xhtml
content0149.xhtml
content0150.xhtml
content0151.xhtml
content0152.xhtml
content0153.xhtml