Sogno di un valzer
In "Quadrivio", 6 giugno-14 agosto 1938. Un breve brano del romanzo sarà poi inserito dall'autore tra I piaceri della povertà, ne I piaceri (Milano, Bompiani, 1943)
Dopo un secondo soggiorno romano, Brancati nel '37 si trasferisce a Caltanissetta, dove insegna, approfondisce le ragioni ideologiche del suo rigetto nei confronti del fascismo e cerca l'antidoto alla collettiva "ubriacatura di stupidità" nella "noia" della provincia, da opporre all'attivismo ufficiale. In una novella, La noia del '937 (in Il vecchio con gli stivali e altri racconti, Milano, Bompiani, 1958), il protagonista infatti s'era fermato a Caltanissetta perché aveva intuito che qui "la noia toccherebbe un punto che altrove non aveva mai sfiorato", giungendo fino al suicidio, in un rifiuto radicale della società e della storia.
La tematica di Brancati si sviluppa quindi dagli Anni perduti (scritto a Catania tra il '34 e il '36 e pubblicato nel 1941, Firenze, Parenti) al Sogno di un valzer lungo il diagramma della noia, dipanandosi tra i due poli del romanzo di Nataca e del romanzo di Nissa. Osserva Sipala: "Se, rispetto agli Anni perduti, è evidente la simmetria per cui il programma del ballo è l'equivalente del progetto della torre panoramica, la diversità della conclusione (corruzione, follia e morte invece che il ritorno alla stasi) è dovuta forse alla volontà dello scrittore di accentuare i toni del tragico, trasferendo la trama in una società, quella della Sicilia occidentale, più incline all'esasperazione dei problemi intellettuali e ad un endemico pirandellismo."
L'omogeneità dei due testi risulta inoltre evidente dall'univocità del registro narrativo trascelto, che è quello comico; e infatti la conversione brancatiana al comico significa la fondazione di un progetto letterario che scopre la carica liberatoria del riso, la valenza utopica dell'ironia applicata sia al vitalismo velleitario dei "galli" di Nataca-Caloria-Catania, sia all'atteggiamento metafisico e filosofeggiante del ceto medio della Sicilia occidentale. Sul profondismo e il pirandellismo si esercita dunque l'intonazione comica dello scrittore che, nel '37, invia a "Omnibus" una Lettera su Gli amici di Nissa (ora in Il borghese e l'immensità, a c. di S. De Feo e G.A. Cibotto, Milano, Bompiani, 1973), nella quale "riferivo i discorsi intorno al mistero, all'al di là, chi siamo, la metempsicosi, ai quali, ogni notte, bisognava dare una conclusione prima di andare a letto"; e, l'anno seguente, scrive il Sogno di un valzer, in cui l'ironia si travasa nella satira in un'alternanza di combinazioni drammatiche, patetiche, ridicole.
Nel romanzo il comico nasce da una serie di procedimenti linguistici: il modello pirandelliano infatti, relegato nella mimesi ideologica e letteraria, isolato nel dialogato e nel monologo interiore, viene inserito in un tessuto narrativo accuratamente tenuto su toni medi e colloquiali, alieno da procedimenti astrattizzanti. Ne risulta una oscillazione tra il discorso del racconto, enunciato su stilemi impressionistici di estensione realistica (il contesto è attualizzato da una serie di precise indicazioni fisiche, anagrafiche, topografiche e dalla minuzia di descrizioni, oltre che da un repertorio di ritratti e da un inventario di oggetti, finalizzati alla cronaca seria di un mondo piccino); la storia, la cui resa comica è legata al lessico astrattivo e ambiguo, semanticamente evanescente, procedente per negazioni, graduali approssimazioni, secondo un calco stereotipico pirandelliano (è un procedimento costante in Brancati, che fornirà anche altrove esempi di parodia del linguaggio letterario); e i dialoghi, giocati su una vasta rete di immagini metafisiche che, affiorando da una metastruttura culturale, declinano in gergo, luogo comune, proliferazioni manieristiche.
In quanto alla dimensione drammatica del Sogno, la singolare coincidenza tra l'omicidio che ne conclude l'inconsistente traccia narrativa e l'analogo scioglimento tragico del Podere di Federigo Tozzi, rifrange una luce obliqua e radente su tutto il romanzo di Brancati, autorizzandone una interpretazione di sociale "disagio", oltre che di privata follia.