Il sonno di Petronio

 

 

Luigi Cardillo si affermò subito nella città mediterranea, tanto che il suo nome fu sostituito da quello di Petronio, intendendo la voce comune alludere, con questo, al dominio che il piccolo negozio di Cardillo esercitava sul gusto cittadino.

Il negozio aveva sede nella via principale; e i suoi locali consistevano in una stanza pentagonale, una cabina telefonica e un retrobottega senza luce. Di giorno, la sua tenda chiara a liste turchine non spiccava gran che; ma di notte, quando gli altri abbassavano le chiudende, il negozio di Petronio, rimasto illuminato, parlava con l'amabile voce del Raro e del Moderno.

Non solo nella vetrina, ma in tutta la stanza pentagonale, il quadro degli oggetti esposti mutava ogni notte. Ora Petronio si occupava della testa della signora: ed ecco una vasta composizione di pettini scintillanti, fiale di profumi e petroli, capigliature di cera dipinta, fiori artificiali da appuntare fra i riccioli. Ora si occupava dello sport in montagna: ed ecco creme per il viso, corpetti di lanital, giacche a vento, berretti di pelo e romanzi di argomento alpinistico. Ora si occupava di "Voi, bambini", ora di "Lui che cosa gradisce?", ora di "Luisa, la buona compagna della vostra vita", ora di "Fumiamo pure, ma con garbo", ora di "Leggiamo senza disturbare colei che dorme" (mostra di lampade da capezzale con la luce cortissima)

Ogni sera un nuovo argomento e un nuovo quadro di oggetti. Per la vetrina, erano sparsi biglietti, bianchi come l'avorio, sui quali Petronio scriveva di suo pugno, con inchiostro nerissimo, il motto della giornata: "Ciclamino, il profumo di Elizabeth Arden", "Sono sciocchezze, ma... piacciono", "Il mago specchio vi dice di adoperare il dentifricio Biancaneve", "Lojacono! Lojacono! Chi non vorrà leggere questo poeta sul grazioso leggio Caroll?"

I passanti, che scendevano come gatti bigi per il corso semibuio, giunti a quella vetrina, scintillavano d'un tratto; e allorché, staccandosi a fatica da quella contemplazione, tornavano a oscurarsi, il biglietto bianco di Petronio aveva dato un nuovo colpo al timone del loro gusto: essi avevano appreso un nome di donna o di maiolica o di profumo che li avrebbe accompagnati per tutta la vita, ronzando lievemente. Sulle signore, il dominio di quella mostra era ancora più forte. Si può dire che, dalla sua vetrina larga un metro e alta due, Petronio abbia dettato il numero delle violette che ciascuna avrebbe portato sull'abito, e il colore delle calze, e i punti del corpo da profumare, e infine la forma dei mobili per la casa.

Ci fu però un'epoca, bisogna riconoscerlo, nella quale i bravi cittadini tentarono di ribellarsi a questo dominio notturno di Petronio: volevano chiudersi al fascio di luce, misto a parole e forme di oggetti, che Petronio gettava nella loro anima dalla sua vetrina. Essi cominciarono a battere il marciapiede opposto e a guardare in cielo quando passavano davanti al negozio seduttore.

Ma Petronio fu più forte di loro. Egli cominciò col solleticare la parte infantile di quei ribelli svogliati. Ed ecco che la sua vetrina fu interamente occupata da un grosso gatto, che si aggirava pigramente su se stesso e mandava un lampo verde dalla coda; ecco la vite luminosa che non finiva mai di penetrare nella parete; ecco i fiori che sbocciavano e morivano rapidamente, come nelle mani di stagioni impazzite; ecco, finalmente, e questa fu la trovata maggiore di Petronio, un piccolo apparecchio che di minuto in minuto mandava un suono amichevole di nocche sul vetro. A questo richiamo, tanto simile a quello che si parte, nelle vie oscure, dalle finestre di certe ragazze, la curiosità dei passanti non seppe più resistere. "Petronio è un diavolo!" borbottavano affettuosamente.

Sciaguratamente, questo suono di nocche non poté ripetersi a lungo, perché le famiglie, che abitavano vicino al negozio, non riuscirono più a dormire, e scrissero al prefetto. Fu il momento in cui Petronio si sentì perduto. Ma il suo destino di maestro e poeta della città tornò a soccorrerlo. Petronio capì che al quadro della sua mostra mancava un personaggio: bisognava mettere un po’ di vita umana in mezzo a quelle statuine, giubbetti e fiale. Petronio convenne che solo nella sua persona si trovava la stoffa del protagonista per quelle scene di velluto e maiolica. Fu con un garbo misterioso, con una suprema naturalezza ch'egli s'introdusse nel quadro della sua mostra. Fingeva che il suo lavoro di corrispondenza non lo lasciasse andare a casa: ed ecco Petronio, nel mezzo di una circolare esposizione di oggetti da scrittoio, battere sopra una macchina rossa alcuni fogli verdi. Talvolta il quadro aveva bisogno di una figura in piedi: ed ecco Petronio rimanere per ore e ore ritto nella cabina telefonica, la cui porta egli teneva aperta con la punta del piede. Né valse che alcuni burloni, avendo capito ch'egli stava davanti all'apparecchio senza dire né ascoltare parola alcuna, gli telefonassero da una casa vicina, ripetendogli mille volte gli improperi più volgari: Petronio passò metà della notte in compagnia di quelle parole da trivio, senza che la sua faccia perdesse minimamente la consueta aria di galanteria e finezza.

La figura di Petronio, aiutata da queste luci, penetrò ancora più addentro nel cuore delle donne. Una corista s'innamorò di lui. Terminato lo spettacolo, in cui aveva cantato alcuni ma sì, ma sì, ma no! e champagne! champagne! la ragazza andava a domiciliarsi davanti alla vetrina del negozio. Quando si avvicinava qualcuno, ella si dilungava per un poco; ma non appena il passante era scomparso, tornava di corsa alla vetrina, e, battendo con le nocche sul vetro, mandava all'interno il suono che, una volta, quel vetro stesso aveva mandato all'esterno. Petronio non si dava per inteso e nascondeva sotto la calma abituale la sua rabbia contro quella sciagurata che minacciava di avvilire, con un amore prosaico, il regno del Raro e del Moderno. La ragazza, fumando con la bocca sul vetro, ne appannava interamente la superficie con l'effetto che la figura di Petronio si velava e spariva agli occhi degli ultimi nottambuli. Alla polizia, Petronio non voleva ricorrere; uscire dal suo quadro non voleva nemmeno, per la riluttanza che hanno le figure dipinte a lasciare il posto in cui la fantasia le ha collocate... "Luigi!" faceva la ragazza, quando la strada era deserta, "Luigi, alzali quegli occhi! Guardami una volta!" Una notte, Petronio alzò gli occhi e guardò attentamente la giovane che riempiva dall'esterno il vetro della mostra; scoprì ch'essa era graziosa, si sentì solo nella città addormentata, fece due o tre passi in direzioni opposte; infine, aprì la porta.

 

Un nuovo Petronio cominciò a insinuarsi nell'antico. Dormiva fino alle due del pomeriggio, e le commesse, ogni volta che parlavano di lui, abbassavano la voce. Fortunatamente, rimaneva fedele alle sue mostre notturne, ove non lasciava mai vuoto il suo posto di personaggio. Dimagriva, però, a vista d'occhio. Una notte, si abbandonò sopra una sedia e, curvato il capo a sinistra, cominciò a guardare con le pupille inerti la fila di bambole che stava sulle scansie. Le sue palpebre si abbassarono solo a metà e la sua bocca continuò a trattenere, come quella di un bravo cane che dorma con l'osso fra i denti, il consueto sorriso elegante e garbato. Solo la sua mano destra, che penzolava sul pavimento, il sonno la dipingeva di un color giallo cadaverico. "Dio mio!" fecero due signore, accorgendosi che Petronio dormiva. "Dio mio!" Poco dopo, una folla numerosa tratteneva il respiro davanti alla vetrina e guardava lo strano spettacolo, offerto da Petronio in mezzo al fulgore delle sue maioliche. Tutti sentirono con raccapriccio, le signore in modo particolare, che Petronio in quella sua positura non ubbidiva ad alcuna legge di eleganza e di bellezza, ma solo a una brutale stanchezza. Qualcuno tentò di svegliarlo, ma, per quanto rumore facesse sul vetro e sulla chiudenda, non vi riuscì.

Allora tutti se ne andarono mogi, mogi, portando nel cuore la visione del sonno di Petronio, amaro per essi come la morte di un eroe. Da quella notte, infatti, il dominio di Luigi Cardillo sugli uomini e le donne della città può dirsi terminato.

Sogno di un valzer e altri racconti
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