36

Maria lo trova lì. Francesco non vuole staccarsi dal corpo di don Pino.

Sta in piedi, con le mani aggrappate al bordo della bara, come se da un momento all’altro l’amico dovesse svegliarsi.

«Secondo me è uno scherzo.»

Maria tace.

«Non lo vedi che sorride?»

Lei scuote il capo. Solo allora il bambino si abbandona tra le sue braccia e comincia a singhiozzare senza ritegno.

«Lui torna. Io lo so. Deve tornare.»

Maria lo accarezza e lo stringe al petto, e intanto guarda il volto di don Pino e risente la sua voce al telefono. L’ultima telefonata, come la richiesta di un condannato a morte, era stata per lei. Il suo ultimo desiderio.

Francesco si stacca improvvisamente dalla madre, prende dalla tasca una busta e gliela offre. C’è scritto “Per Maria”.

«Chi te l’ha data?»

«Non lo conosco. Uno grande con i ricci. Mi ha detto di darla a te.»

Quella busta somiglia a un inatteso testamento.

Nemmeno lei riesce più a contenere il dolore, piange e sorride insieme, stringe suo figlio più forte, come se lo partorisse di nuovo. Gli mostra l’altra madre che sente crescere dentro.

L’unica tessera mancante del mosaico è Dario. Lui non è corso con gli altri. Lui è scappato e si è rifugiato nel cantiere abbandonato del palazzo in costruzione, dove custodisce le sue ali. Don Pino se n’è andato e lui deve provare a raggiungerlo, niente lo trattiene più nel labirinto.

Stanotte lui in strada non ci va. Nel labirinto non ci torna mai più. Si sporge dal tetto, quello da cui si divertono a lanciare i cani. Ha indossato le sue ali, costruite pazientemente con i fogli per fare gli aquiloni, come gli hanno insegnato don Pino e Lucia. Sono colorati e ben uniti tra loro, con la colla giusta. Chiude gli occhi e si sente così leggero nel vento della notte che può andare ovunque. Deve solo imparare a governare i movimenti e all’alba non avvicinarsi troppo al sole. Il mare gli si stende davanti, anche se ne scorge solo qualche scaglia. Il peso del suo corpo sparisce nel buio. Nessuno lo sente volare via.

Riccardo sta giocando nella notte a tirar sassi ai cani e trova il corpo spezzato di Dario. Piange, perché sa di aver contribuito a tracciare la strada per il paradiso, mentre i cani abbaiano contro le sue pietre. Non sapeva che il male si moltiplicasse così rapidamente.

Il silenzio della terra sembra fondersi con quello del cielo, il mistero della città e del mare si congiungono con quello delle stelle. Sto in piedi davanti al mare infecondo. Ma a un tratto, come falciato, mi inginocchio sulla battigia salata. La mia terra. Sento in modo chiaro e quasi tangibile qualcosa di incrollabile scendere dentro di me. Il mare mi bagna le ginocchia e i piedi. Vorrebbe portarmi via come un castello di sabbia costruito durante il giorno e sono tentato di non opporgli resistenza, tanto è il dolore. Ma gli ho promesso di non lasciarlo solo. Ho la bocca e la faccia piene di sabbia: è la mia terra, qualsiasi sapore abbia. Petrarca aveva torto, nella vita ci sono sogni che durano per sempre.

La bambina sosta in silenzio davanti al mare compatto e apparentemente immobile. Lo guarda dagli archi vuoti del suo rifugio. Ora che sa nuotare le fa meno paura. Se ne sta lì, il mare, come se nulla fosse, e le stelle brillano furiose. Bambola chissà dove è andata. Poi di scatto si alza e s’incammina. Niente e nessuno più la trattiene, niente e nessuno più l’aspetta in questo porto.

Ciò che inferno non è
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