17

Il furgone arranca, ma in quell’abitacolo non c’è spazio per le lamentele, tanto sono pigiati. I bambini sono pazzi di gioia, perché don Pino li porta al mare. Ad aiutarlo c’è Lucia. Sono seduti su sedioline pieghevoli: il furgone è senza sedili e don Pino ha rimediato con quelle sedie che ondeggiano tra le risate dei bambini e il mal di mare di Lucia.

«Non sono mai stato a Mondello, io» ripete Francesco.

«Mai?»

«Mai. Com’è?»

«La spiaggia è bellissima. L’acqua è trasparente. La sabbia è bianca e finissima, sembra farina. E poi ci sono le capanne di legno dove uno si cambia e un sacco di chioschi dove prendere il gelato quando fa troppo caldo.»

«E noi ce lo prendiamo?»

«Certo!»

«Quando arriviamo?» chiede la bambina con Bambola, come un ritornello di canzone, bussando sulla spalla di don Pino.

«Ancora un poco ci vuole.»

«Miii, è lontanissimo questo Mondello.»

«Così quando arrivi te lo godi di più.»

«E Bambola che dice? Ce l’ha il costume per fare il bagno?»

«No, lei non sa nuotare. Rimane a prendere il sole.»

«E tu?»

«Io pure.»

«No, tu devi imparare.»

«È facilissimo, basta stare a galla» la rassicura Francesco.

«Ma il mio papà, che me lo stava insegnando, non c’è.»

«E dov’è?»

«Non c’è più.»

«Il mio manco c’è. A me me lo ha imparato mia madre.»

«Si dice “insegnato”!» interrompe don Pino.

«Mia madre non ce l’ha il tempo.»

«Te lo insegna don Pino, allora! Vero?» chiede Francesco, calcando la voce sul verbo usato in modo corretto.

Don Pino resta serio per un attimo.

«Certo.»

La bambina allora gli accosta Bambola a una guancia per un bacio accompagnato da uno schiocco delle labbra.

Il sole brucia la pelle e martella sui vestiti scuri di don Pino, che in testa porta un cappellino insufficiente a proteggerlo dal sole ruggente.

I bambini sembrano fiorire continuamente dal nulla come le onde, corrono e si lanciano in acqua mentre Lucia e io cerchiamo di tenere sotto controllo l’energia freschissima che i loro corpi non bastano a contenere. Non mi aspettavo ci fosse anche lei e quando l’ho vista ho avuto la tentazione di nascondermi. Mi saluta con un cenno del capo, per il resto non mi parla.

Un po’ mi vergogno di quei bambini, che si comportano come selvaggi ignari di specchietti e perline: temo di incontrare qualcuno che conosco. Poi osservo la naturalezza con cui Lucia li asseconda e cerco goffamente di imitarla. Vorrei la sua libertà dal giudizio altrui. Vorrei la libertà che dà il sapere di fare la cosa giusta anche se si è soli a farla. E poi mi ricordo di quello che mi ha detto don Pino: sono solo un po’ maleducati, non sono educati al male, e noi siamo lì proprio per far conoscere loro la bellezza con cui ripulire il cuore dalla crosta, facendo zampillare la loro felicità. Lucia però è taciturna e i suoi occhi insolitamente spenti.

La bambina con Bambola se ne sta seduta vicino all’acqua e bagna solo i piedi. Lo stesso fa don Pino, che ha arrotolato i pantaloni sino al ginocchio.

«Mi insegni a nuotare, Donpino?»

«Sei sicura? Non è che poi hai paura?»

«Se ci sei tu no. E poi voglio andare là dietro.»

«Là dietro dove?»

«Là, dove c’è quella linea.»

«Quale?»

«Quella dove il mare tocca il cielo.»

«E perché ci vuoi andare?»

«Perché là dietro ci sono un sacco di cose, e anche papà. E secondo me ci vanno tutti i treni.»

«Chi te l’ha detto?»

«Bambola.»

«Come fa lei a saperlo?»

«Lei c’è stata.»

«Quando?»

«Tanto tempo fa. Lei è una bambola viaggiatrice. Ha visto tutte le cose belle del mondo prima che papà me la portasse. Lei vuole che anche io vedo le cose che ha visto lei, mi dice di tenere sempre gli occhi aperti come fa lei, ma io non so nuotare fino a lì.»

«Neanche io.»

«Neanche tu?»

«Possiamo stare qui vicino, però.»

«No, io voglio andare dove non si tocca, come facevo con papà. Almeno lì ci sai arrivare, Donpino?»

«Sì» risponde lui dopo un attimo di titubanza.

Senza aggiungere altro, lei gli prende la mano. Vanno insieme dentro l’acqua, e non si capisce chi conduce l’altro.

Il ragazzo e Lucia osservano con un sorriso divertito don Pino immergersi con i pantaloni arrotolati e la maglietta.

Avanzano piano piano, la bambina stringe la mano di don Pino e con l’altra serra Bambola sempre più forte.

«È fredda!»

«Non dire bugie, è caldissima.»

«Hai ragione, Donpino, era una scusa perché ho paura.»

«Non ti preoccupare, stiamo qui vicino alla spiaggia.»

«No, io voglio imparare a galleggiare dove non si tocca.»

«Sei sicura?»

«Sì, andiamo.»

Procedono, e a un certo punto la bambina deve aggrapparsi con due mani perché non tocca più. Ma non sa come fare con Bambola. Allora don Pino la prende e la mette sotto il braccio, mentre con le mani aiuta la bambina a stare a galla. Ha paura anche lui di non toccare più, ma per fortuna mancano ancora vari metri.

«Papà mi diceva di muovere le gambe come in bicicletta.»

«Giusto.»

«Ecco, guarda, lo so fare!»

«Bravissima, ma più piano, lentamente.»

«Va bene?»

«Così, brava. Adesso fai un’altra cosa, muovi un braccio come se dovessi disegnare un cerchio nell’acqua.»

«E come faccio, se devo tenermi a te?»

«Devi lasciare una mano.»

«Sei sicuro?»

«Prova.»

«Sicuro, sicuro?»

«Sì.»

Stacca la mano per un attimo, ma subito si aggrappa di nuovo.

«Non aver paura.»

La bambina prende coraggio, si stacca e comincia a disegnare un cerchio.

«Più piano. E intanto continua a muovere le gambe.»

«Miii, guarda come sto a galla! Solo con una mano!»

«Allora adesso dobbiamo provare senza mani.»

«Come?»

«Come hai fatto adesso.»

«E che devo fare, un altro cerchio?»

«Sì, uno solo ma più grande.»

Lei ci prova e va subito giù. Quando tocca la sabbia con i piedi si dà una spinta e risale a galla come una molla compressa. Si aggrappa con entrambe le mani. Sputa l’acqua e tiene gli occhi chiusi. Affonda il volto nella pancia di don Pino.

«Miii, stavo affogando. Meno male che ci sei tu, Donpino!»

«Non ti lascio. Stai tranquilla. Riproviamo?»

«Però mi riposo un po’ prima.»

«Va bene.»

La bambina, tenendosi stretta, lo guarda mentre lui le sorride.

«Sei proprio una bambina meravigliosa.»

«E tu sei bravo come il mio papà.»

Al momento dei saluti i bambini mi abbracciano e ripetono in coro il mio nome, che risuona per tutta la spiaggia: eccomi additato come unico colpevole di quel baccano. Arrossisco. A cosa somiglia la vita se non a un gioco di bambini spensierati?

«Quando torni?» chiede Totò. «Ho imparato un sacco di accordi e te li devo far sentire. Tuo fratello è più bravo di te.»

«Che ne sai tu di mio fratello?»

«Ha detto che tu eri impegnato e lui ti sostituiva per un po’.»

Allora lo ha fatto! Non mi ha detto nulla, sarebbe stato troppo… Guardo la felicità negli occhi di Totò e credo che sia simile alla mia in questo momento.

«Ora devo partire con i miei genitori. Quando torno mi fai sentire tutto, va bene? Tu allenati!»

«Tutti i giorni. Mia madre è disperata. Ieri stava per buttare la chitarra dalla finestra.»

«No!»

«Ci sei cascato! Non è vero. E poi Manfredi mi ha detto che se continuo così me la regala.»

Gli scompiglio i capelli ancora umidi di mare.

Quando mi avvicino a Lucia per salutarla, lei mi blocca a distanza con un cenno della mano e mi congeda con un sorriso contenuto. Poi nei suoi occhi non leggo più nulla.

Non possiamo lasciarci così. Domani tornerò a Brancaccio, prima di essere definitivamente condannato all’esilio dai miei genitori.

Ciò che inferno non è
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