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La solitudine dei giorni successivi è così spessa che sembra quasi di poterlo tagliare, il niente. Sono un recluso e l’unica cosa che mi resta da fare è seguire le evoluzioni coloristiche del mio occhio dal nero al viola, al rosso porpora con sfumature violacee. Leggo e guardo tutti i telefilm, da “Supercar” a “Happy Days”. Don Pino è passato a trovarmi, così ha fatto visita anche a Giuseppe al Malaspina. Ha chiesto scusa ai miei genitori, sostenendo che è colpa sua se le cose sono andate così. È d’accordo sulla decisione di tenermi lontano da Brancaccio. È diventato troppo pericoloso.

«Come sta Giuseppe?»

«Come può. Mi ha detto di salutarti.»

«Ma se quasi non gli ho parlato.»

«Lui si ricorda di te. Ha il cuore buono quel ragazzino. Per questo non lo mollo. Ho imparato a distinguere tra chi è semplicemente maleducato e chi è educato al male.»

«Anch’io penso di averlo capito» gli rispondo indicando il mio occhio.

Don Pino sorride.

«Fra qualche giorno li porto a Mondello.»

«Chi?»

«I bambini. Se ti fa piacere puoi raggiungerci lì, così li saluti.»

«E i miei?»

«Mica vieni a Brancaccio… a Mondello.»

Don Pino sorride strizzando l’occhio.

Nei primi giorni d’agosto la luce trionfa senza ostacoli in fantasie quasi allucinate. Il caldo di luglio fiacca le ginocchia, quello di agosto i pensieri.

Quante clessidre servono per svuotare una spiaggia? Quanto tempo ci vuole perché una gemma diventi mela? Esiste un tempo medio o ognuna è un evento unico? A che velocità va la luce quando al mattino infuoca il mare? La distanza che permette la combustione tra due sguardi è precisa o casuale? Il nero dei capelli di Lucia è assenza di luce o la sua pienezza al rovescio? Che peso ha un segreto? Che rapporto intercorre tra la felicità e la lunghezza di un sorriso? Come si calcola il volume del cuore?

Il cervello mi si affolla di domande inutili che restano senza risposta e continuano a ossessionarmi nel bianco della solitudine. Mi sento come Gregor, che una mattina si sveglia trasformato in scarafaggio e tutte le sue paure sono diventate realtà. Afferro il libro di Kafka, e a pagina 34 trovo cinque parole scritte a matita: onde, nero, carezza, sogno, seme.

Sono le cinque parole che ha scritto Lucia. Se non mi fossi fatto pestare non le avrei mai trovate. Quelle cinque parole sono gli elementi della formula. Devo solo capire come metterli insieme e poterti dire: “Amore, come sei bella”.

Ciò che inferno non è
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