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Quello che state per ascoltare

è lu cuntu di eroi e damigelle,

mille avventure dovettero affrontare

terribili a volte, a volte belle,

e io, lu cuntastori, voglio arriccuntare

la più bella tra tutte le più belle.

Adesso prestate fantasia e orecchi,

bambini e uomini, donne e vecchi.

Totò porta un copricapo a forma di calza e agita una spada di legno per cadenzare il ritmo di quello che dice. Il suo ruolo è quello di cuntastori, il cantastorie. Ha imparato alla perfezione i versi iniziali dell’opera che Lucia vuole far recitare ai bambini.

Il sogno di Lucia è il teatro. E con don Pino hanno deciso di mettere in scena una storia tratta dall’opera dei pupi, le marionette dei paladini di Carlo Magno. I pupi saranno i bambini: in fondo “pupo” in dialetto vuol dire proprio questo.

Lucia ha un talento registico istintivo. Intuisce la parte più adatta ai vari attori, inventa trame, scrive battute, crea costumi… come un seme di bellezza che lei nasconde dentro all’inverno del cuore di quei bambini, perché dia frutto al disgelo. Ha coinvolto le mamme, le nonne, e persino qualche papà: ciascuno aiuterà come può.

Lo spettacolo si intitola Orlandino alla conquista della città e racconta, secondo la tradizione dei cunti, l’infanzia del prode Orlando. Nato nei boschi, lontano dal padre ucciso in battaglia e solo con la madre, sin da piccolo manifesta astuzia e forza straordinarie. Non potendo istruirsi sui libri, impara tutto esplorando il bosco accompagnato dal fedele amico Virticchiu, che diverrà un giorno il suo scudiero. Orlandino non sa di essere il frutto di un amore proibito. Sua madre è la sorella di Carlo Magno: innamoratasi di un poveruomo, è dovuta scappare da Parigi e nascondersi. Un giorno Orlandino incontra nel bosco una carovana di viandanti che si recano in città per una giostra di aspiranti cavalieri di ogni tipo, nobili e poveri, vagabondi e mercenari, avventurieri e diseredati. Sono tutti giovanissimi, come lui, che si fa valere. Carlo vuole portarlo con sé a corte e prendendo informazioni su di lui scopre la verità: è suo nipote. Gano di Maganza, nobile consigliere di Carlo, temendo di perdere le grazie del suo signore, decide di eliminare il giovane erede. Ma il furbo nipote di Carlo, con l’aiuto del mago Pipino, insieme agli amici conosciuti alla giostra proverà a smascherare le macchinazioni di Gano, che in realtà vuole eliminare lo stesso Carlo e sottrargli il trono.

Lucia ha adattato la storia e il testo e ogni settimana ci sono le prove nei locali del centro Padre Nostro. Deve gestire una quindicina di bambini e bambine. La parte di Orlandino è toccata a Francesco. Virticchiu è Calogero, il fratello minore di Nuccio. Ci sono poi le donne della corte, tra le quali la bambina con la bambola che è stata inserita nel gruppo da poco. Gano è Riccardo, e sotto la barba finta del buon mago Pipino si nasconderà don Pino in persona, che però ancora non lo sa. Lucia interpreta la madre di Orlandino. Manca un Carlo Magno.

Le armature e gli scudi di cartone, le gonne verde smeraldo e i corpetti di stoffa azzurra, gli elmi di latta con i pennacchi finti e i diademi di plastica brillano nell’immaginazione dei bambini di Brancaccio come armi d’acciaio temprato e broccati tessuti a mano.

«Te la immagini la faccia di don Pino quando scoprirà che deve mettersi sta barba e sto cappello da mago Merlino?» Francesco si appende al braccio di Lucia, intenta a cucire una decorazione su un abito di scena.

«Si divertirà, vedrai. Sarà un compleanno indimenticabile.»

Hanno deciso di mettere in scena la prima il 15 settembre, a sorpresa.

«Ma secondo te ce la fa a recitare la battuta a memoria?»

«Stai tranquillo, ci ho pensato io. Sarà una sorpresa», e fa cenno col dito di tacere. «L’unico problema sarà se arriverà puntuale…»

I bambini si dispongono in cerchio, a un metro di distanza l’uno dall’altro. Totò comincia a declamare, tronfio e agitando la spada.

Nulla potevan le spade di Gano
contro l’astuzia del prode Orlandino,
senza il cervello il braccio è vano,
sconfigger non può il prode bambino
che con i suoi amici ha un piano
e l’aiuto del vecchio mago Pipino.
Così preparatevi a ogni sorpresa:
di chi è la vittoria, di chi la spesa?

«La resa, Totò, la resa! Che c’entra la spesa?»

«Quella parola è difficile… non la conosco. E poi c’ho fame…»

«Hai ragione pure tu. Ma te l’ho spiegato: la resa è il contrario della vittoria, è arrendersi.»

«Sì, sì, me lo scordo sempre…»

I bambini si dispongono attorno a Gano di Maganza, vestito tutto di nero e adomato con delle penne di corvo. Si ritrova intrappolato e non sa chi colpire, perché non appena tenta un movimento il cerchio si stringe su di lui come un polpo e qualcuno lo colpisce alle spalle, gli fa uno sgambetto, lo spintona, gli dà una botta in testa.

«Arrenditi, io sono il nipote di Carlo, e questa un giorno sarà la mia corte.»

«Maledetti ragazzini, cosa credete di fare a un uomo armato di spada? Vi taglierò a fette di mellone.»

«Il cavaliere sembra nervoso. Ha bisogno di una camomilla» lo canzona Virticchiu.

«No, ha bisogno di un po’ d’aria. L’armatura lo soffoca» ribatte Orlandino.

E gli cala le brache da dietro, costringendolo a compiere passettini piccoli piccoli e ridicoli, manco fosse uno scarafaggio, mentre le sue mutande rosse sono sotto gli occhi di tutti.

I bambini ridono e Orlandino ne approfitta per assestare un bel colpo in testa a Gano.

«Il vino buono sta nelle botti piccole» dice uno.

«E la goccia buca la roccia» ribadisce un altro.

«Non c’è niente di grande che non sia stato piccolissimo.»

II traditore crolla per terra e tutti gli sono sopra.

«Questa città è nostra!»

«Urrà, urrà, urrà!»

I bambini festeggiano con un girotondo attorno allo sconfitto Gano e intonano in coro un canto liberatorio.

Lucia per incoraggiarli mima i movimenti di scena.

Alla fine levano le mani al cielo e lanciano un urlo, un urlo di gioia a cui seguirà un silenzio di qualche secondo, necessario perché lo spettatore si ricollochi nel tempo e nello spazio.

La magia del cunto, come un fiume che viene da lontano e finisce nel mare, ha catturato la mente e i cuori dei bambini, forti di una grande storia. Se non si ha una storia più grande di noi che si tramanda di padre in figlio restiamo in balia dei facili copioni di chi ha potere. Solo chi appartiene a una storia può inventare la sua, come i fiori sui rami dei mandorli che per primi raccontano la primavera.

In un angolo anche io rido e applaudo. Riesco sempre a trovare l’angolo in cui ficcarmi per non essere visto e vedere. Sono uno che sta bene negli angoli.

Lucia si volta.

«Che ci fai qui?»

«Ho saputo che cercate Carlo Magno.»

Sorride. I bambini applaudono.

«Dovrai venire qui spesso, ci sono un sacco di cose da fare.»

«Addirittura?»

«Sì. Io sono la regista e se vuoi partecipare devi stare alle regole, come fanno loro.»

Rimango in silenzio, chinando il capo in segno di obbediente assenso, benché il re sia io.

Ciò che inferno non è
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