21
Le scarpe sono sempre le stesse. Le riparerebbe all’infinito, così gli ha insegnato suo padre: se il materiale è buono, non c’è scarpa che non possa rinascere. Con quelle scarpe don Pino continua a calpestare l’asfalto molle di Brancaccio, la strada è la sua casa e le scarpe lo sanno bene, di polvere ne hanno conosciuta.
Il passo si è fatto più cauto, ma non meno determinato. Lui è come le sue scarpe, una volta riparato va avanti, non si ferma. La forza sgorga rinnovata dalle difficoltà, rinasce dall’alto e cala nelle strade, ogni giorno. La strada lo porta a destinazione.
«Ho trovato una signora anziana che ha bisogno di una badante. Potresti andare tu.»
«No, non me la sento.»
«Ma perché, Maria?»
«Qui sono al sicuro. Almeno ho un tetto e un letto per Francesco e i soldi non mi mancano.»
«E quanto credi potrà durare?»
«Non mi interessa. Vivo alla giornata.»
«No, tu stai morendo alla giornata.»
Don Pino le poggia una mano sulla guancia, chiude gli occhi. Quando li riapre sono lucidi.
Poi se ne esce, senza aggiungere nulla.
La strada è ancora lì ad aspettarlo, certa. Sta a lui sfidarne l’inerte reticolato con il filo che decodifica il labirinto. Lucia gli ha dato appuntamento a casa di Serena, hanno bisogno di parlargli.
«Che devo fare, don Pino? Che devo fare?»
Don Pino cerca una risposta non umana, perché una umana non ce l’ha. Fissa la mano di Lucia che stringe quella dell’amica, quasi potesse prendersi un po’ del suo dolore per osmosi.
«Potresti affidarlo. Conosco un posto dove starebbe al sicuro. Capisco che non vuoi tenerlo, ma puoi farlo nascere.»
«Come faccio a tenermi nella pancia una ferita? È una crudeltà!»
«È la crudeltà degli uomini. Però il bambino non ha colpe, e tu ti infliggeresti un altro dolore dopo quello della violenza.»
«Non ci riesco a portarmi dentro l’inferno. La nausea, ogni centi-metro di pelle che si tende mi ricordano il male, non una cosa bella. È la mia vita, il mio futuro. E io devo scegliere una condanna? Devo dare la vita a un bambino che avrà i tratti di chi mi ha distrutta?»
«Pensaci con calma. Qualsiasi cosa tu decida io sono qui. Ricordati che, se metti amore dove non ce n’è, raccogli amore. Riparare è molto più eroico di costruire, Serena.»
Lucia abbraccia l’amica che scuote la testa stretta al petto di lei e tra i singhiozzi ripete: «Non ce l’ho la forza».
«Un passo alla volta, Serena. Se con la piccola luce che hai in mano provi a illuminare l’intera valle scura ti viene ancora più paura. Illumina il prossimo passo e prova a compierlo. Uno alla volta. La forza ce l’hai. Anzi, ce l’abbiamo.»