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La ragazza urla dentro la mano di Nuccio e lui le stringe la gola. Le spinge il corpo dentro la tenebra e la tenebra la inghiotte.
Un tempo i briganti tendevano agguati ai mercanti, fermavano i carretti nelle strade polverose ed esigevano il pagamento del pizzo. Sapevano di aver a che fare con poveri padri di famiglia, lavoratori, e si limitavano a portarsi via un po’ di merce.
Il pizzo era la parte più nascosta e preziosa del carro, un robusto listello di legno intagliato, posto sotto il cassone a proteggere la zona più debole. Senza il pizzo, spesso istoriato con una immagine sacra per difendersi da sfortuna e briganti, l’asse si spezzava facilmente e il peso finiva per spaccare il carro e la schiena del mercante. E senza il carro il lavoro è perduto.
“Se non ci dai i soldi, ti facciamo pagare il pizzo.”
Non uccidevano. Erano uomini di principio. Ma dovevano tirare avanti anche loro. Un contributo e niente più. Altrimenti ti spezzavano il pizzo e il tuo carro era finito.
Il mercante pagava e proseguiva il viaggio. In fondo era una tassa e dava garanzie: erano sempre gli stessi briganti e non c’era spazio per altri disposti a toglierti la vita.
Il titolare del negozio non ha pagato. E Nuccio è venuto a esigere ciò che gli spetta.
Le urla soffocate sono quelle di una ragazza a cui Nuccio sta spezzando l’anima.
Poi se ne va, camminando dritto e impettito, con la giustizia nelle mani e l’orgoglio di aver fatto quello che deve essere fatto, anche se nessuno glielo ha chiesto.
Non sente niente. L’inferno è sordo e muto.