22

«Non ho fame. Vado a dormire.»

«Ma dove sei stato tutto il giorno?»

«Al mare, mamma. Te l’ho detto ieri che andavo a Mondello.»

Non la guardo e cerco di nascondere il volto con la mano, come se avessi prurito al naso.

Mia madre però capisce come sto senza bisogno di spiegarglielo. Le basta il tono di voce.

«Che hai fatto?»

«Niente.»

«Come, niente? Hai la faccia gonfia. Fammi vedere.»

«Niente, mamma, niente.»

«Federico.»

«Una cavoiata, ho preso una pallonata giocando a calcio.»

«Una pallonata? Vieni qua, che ci mettiamo un po’ di ghiaccio.»

Cedo al tono allarmato di mia madre.

«Ma tu guarda come ti riduci. Per cosa, poi? Sempre questo calcio. Fissati siete, tu e tuo fratello. Anzi, no: malati!»

Il ghiaccio anestetizza il dolore e avverto la consistenza del resto del mio corpo. Puzzo e ho l’amarezza dappertutto.

«Ehi, Poeta, che hai combinato?»

Manfredi entra in cucina. Sono seduto al tavolo con mamma che regge la borsa del ghiaccio.

Farfuglio un «niente», poi mamma stacca un attimo la mano e mostra a mio fratello il capolavoro.

«Natura viva con taglio perpendicolare» commenta Manfredi. «E come hai fatto? Sei caduto dal seggiolone? Hai fatto a botte con qualcuno perché recitava i sonetti di Petrarca meglio di te?»

«Fa-ffan-cu-lo» scandisco come posso con il ghiaccio che preme sul labbro.

«Fei ficuro?» mi canzona Manfredi.

«Sì, e vacci subito.»

Si avvicina e mi dà un coppino.

«Porta rispetto a tuo fratello.»

«State buoni, voi due.»

«Allora, che t’è successo?»

«Ho fatto a botte.»

«Ma non hai detto che è stata una pallonata?» interviene mia madre.

«Ti sei battuto per conquistare una ragazza? Ammesso che una ragazza degna di questo nome possa vedere oltre il rospo che sei e avere il fegato di trattenersi anche dopo il tuo primo bacio. O magari te le ha date una ragazza che hai tentato di baciare?»

«È stato uno.»

«Sempre meglio che due… E chi era?»

«Uno.»

«Il primo labbro rotto non si scorda mai. Poeta, stai diventando un uomo.»

«Invece tu resti lo stronzo di sempre.»

«Federico, la smetti di parlare come un malacarne?»

«Perché, che problemi hai con i malacarne?»

Mia madre resta in silenzio, ferita dalla mia risposta.

«Fede, se non ti dai una calmata ti rompo anche l’altro labbro» rincara Manfredi.

Mi alzo di scatto, salto addosso a mio fratello e colpisco alla rinfusa. Lui non fa in tempo a proteggersi che gli conficco un cazzotto nello stomaco, che lo fa piegare in due per il dolore.

Mia madre cerca di afferrarmi, ma io mi divincolo.

«Lasciatemi stare. Ho detto lasciatemi stare!»

Mi chiudo in camera e permetto all’amarezza di invadere ogni mia cellula. Sono diventato violento nel giro di poche ore, con le persone che amo di più. L’inferno mi si è attaccato addosso e l’ho portato dentro casa come un virus sconosciuto.

Mi sento un estraneo in casa, un estraneo nella mia città. Estraneo a me stesso.

Ciò che inferno non è
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