29

In quello stesso giorno, quando la luce si sposta cauta sulle superfici come un gatto su un tetto e le onde sono zampe che giocano con la preda facendola rotolare, il ragazzo e Lucia camminano in silenzio. Il mare si stende sulla costa con la pace di chi non ha fretta, perché sa quello che fa.

Il ragazzo osserva la distesa d’acqua sfrangiata di sangue dal sole che tramonta stanco. La luce si impenna, rossastra. Nessuno ha mai chiamato a testimone qualcosa di piccolo per le grandi promesse. Nessuno ha mai dichiarato il proprio amore in un garage, a meno che non fosse costretto. In riva al mare coloro che si amano si prendono per mano, si sussurrano segreti e si dicono “ti amo” al cospetto dell’orizzonte, che unisce cielo e terra. Così quel ragazzo si volta verso Lucia che lo guarda in attesa, con il misto di paura e di stupore che provano tutte le donne quando si dice loro “ti amo” per la prima volta. E vorrebbero prendere quelle parole con le mani e portarle dentro al petto per tutta la vita.

«Voglio amarti, Lucia» dice il ragazzo aggiustandole una ciocca di capelli spostati dal vento dietro l’orecchio. Voleva dire “ti amo” e gli è uscita invece quella frase.

Lei si gira per un attimo verso il mare, verso il cielo, verso la sabbia, verso le montagne, chiamandoli a testimoni. Poi ritorna negli occhi del ragazzo, segnati dallo spasimo. Sono occhi puliti, di chi cerca la verità, ma anche occhi fragili, di chi ha paura e vorrebbe aprire ogni spazio alla vita senza rimanerne schiacciato. Come rosa che sboccia, gli poggia la fronte sul petto e nel silenzio sospeso delle cose al tramonto risponde: «Non mi lasciare mai e io sarò l’estate che non finisce».

Un’àncora e un ancòra.

Il ragazzo la stringe tra le braccia come se potesse circoscrivere la vita dentro un cerchio in cui proteggerla da ogni attacco e fallimento. E le si fissano nei sensi tutte le presenze sottratte al tempo, come fossero gli elementi della tavola periodica della felicità: la sabbia, le rocce, la risacca, il vento.

È settembre. Il mese che ha dentro lo sfinirsi dell’estate e il germogliare dell’autunno. Il mare non sa come contenere quelle due anime e le canta entrambe.

«Dimmi la cosa più importante di te» chiede lei d’improvviso in una raffica nera di capelli.

«Ho il cuore pieno di desideri, sogni, cose belle. Però non ho la corazza» risponde lui, vergognandosi subito di aver commesso la follia di consegnarle la sua essenza senza pudore, quasi fosse quello il suo profumo una volta distillata la sua vita e gettata via la buccia.

Lucia sorride e vuole essere lei, la mia corazza. E la mia carezza.

Quel ragazzo sono io.

Federico.

Ciò che inferno non è
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