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Durante la messa domenicale don Pino è più serio del solito. I bambini seduti nelle prime file se ne accorgono e sono nervosi. Tra loro c’è Francesco. C’è Dario. C’è Totò. C’è Salvatore. C’è Riccardo. C’è Lucia con i fratelli. Poco dietro c’è Gemma con suo marito e il signor Mario in carrozzina. Ci sono i padri di famiglia delle porte bruciate. C’è Mimmo, il poliziotto. Ci sono le suore che aiutano don Pino. Ci sono anche loro: i lupi del branco. A segnare il territorio. A difenderlo da poco gradite incursioni.

«Sapete qual è il passo del Vangelo che mi piace di più, bambini?»

Un coro di «no» fende l’aria sudata.

«Quello delle beatitudini, che spiega come si fa la felicità. In particolare questo ingrediente: beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati.

Qui non si parla di essere soddisfatti per la giustizia degli uomini. La nostra giustizia, anzi, è spesso ingiusta. Né si può essere felici perché si prova fame e sete di qualcosa che non si può realizzare. La felicità sta nell’essere saziati, non certo nel morire di sete o di fame. La giustizia di cui si parla è la promessa che Dio ha fatto agli uomini, e cioè che la sua forza prevarrà, che l’amore avrà sempre l’ultima parola, anche quando la violenza sembra soffocarlo. È una giustizia strana: si fa largo nel mondo silenziosa, nascosta ma marrestabile, come un latitante che non si fa prendere mai. Saremo saziati perché lui fa quello a cui noi non arriviamo.

Ma a noi è chiesto di aprire la porta delle nostre vite per lasciare entrare questa giustizia nelle strade dove ci muoviamo, diventare noi quella promessa di Dio che si realizza: siamo noi la sua giustizia. Sfameremo e sazieremo gli altri se rispondiamo alle domande di Dio.

Due sono le domande che Dio pone all’uomo. La prima la rivolge a Adamo quando egli si nasconde dopo aver commesso il peccato: “Dove sei?”. Dio ci chiede dove ci siamo nascosti. Noi ci vergogniamo del male che commettiamo e ci andiamo a nascondere. Non ci facciamo più trovare dalla misericordia di Dio, pensando che ci voglia punire, che non possiamo più meritarci il suo amore, mentre è proprio quello che ci vuole dare gratis.» Don Pino si interrompe e indica il crocifisso di legno, poi riprende: «La seconda domanda è quella che Dio pone a Caino che ha ucciso il fratello Abele: “Dov’è tuo fratello?”. E si sente rispondere: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Sì, proprio tu. Ciascuno di noi è custode di chi ha accanto: per parentela, per amicizia, per lavoro, per vicinato. Ciascuno di noi è affidato ad altri e altri sono affidati a noi, perché Dio muove tutto per spingerci ad amare di più ed essere amati di più. Oggi sono queste le due domande che ci sentiamo rivolgere da Dio: “Dove sei tu? Dov’è tuo fratello?”.

E noi come rispondiamo qui e adesso? In un quartiere dove non ci sono una scuola media, un giardino pubblico, un posto per far giocare i bambini? È normale che insistiate a chiederli. Dio affida all’uomo il compimento della propria volontà: non concede miracoli dove è l’uomo che può farli con il suo lavoro quotidiano. Ma c’è chi non vuole che l’uomo viva degnamente la sua condizione. E io non riesco a capire perché. E chiedo a queste persone di venire qui. Parliamone. A tu per tu. Discutiamone. Siete figli di questa chiesa. Vi aspetto. Vediamoci in piazza. Sono nato e cresciuto in questo quartiere e sono stanco di vedere i bambini e i ragazzi per strada. Possiamo fare qualcosa di nuovo».

Li guarda serio.

A Nuccio fremono le narici e la bocca si storce attorno ai denti troppo affollati. 1 bambini sono inquieti perché non capiscono di che parla don Pino: sembra arrabbiato, fa discorsi difficili.

Poi il sacerdote offre il pane e il vino e con essi ogni fibra della propria vita. Osserva i suoi bambini e gli vengono in mente le parole dell’Apocalisse di Giovanni: “Guarda, io faccio nuove tutte le cose”. Il male urla di più, ma una primavera silenziosa si fa strada in quei germogli e lui deve curarli. Basta una goccia del sangue di Dio per salvare il mondo intero, figuriamoci un quartiere di Palermo. Ma l’onnipotenza debole di Dio senza l’uomo non può fare nulla. La libertà dell’uomo è l’argine nel quale Dio ha voluto confinare la sua onnipotenza.

Distribuisce il pane spezzato per tutti.

E torna a sorridere, da dove sorride lui. Da lontano, con una luce che non viene dalle strade degli uomini, ma è in uno spazio che nessuno può toccare, lo spazio di chi si sente a casa in mezzo alla tempesta, di chi sta qualche metro sotto la superficie sconvolta, dove il blu è tranquillo e immobile. La sua fame e la sua sete vengono saziate, proprio perché le ha sperimentate. La gioia di chi arriva a destinazione in ogni momento della navigazione. Dio per lui è tuttoporto e l’uomo una malaspina in cerca di ormeggio.

Ciò che inferno non è
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