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Settembre, epitaffio dell’estate, si infila dappertutto, anche nei posti più refrattari. L’enorme edificio accanto alla cattedrale brilla come un osso scorticato sulla spiaggia.
Un ragazzo balla nel corridoio ed esulta come se avesse segnato il goal decisivo della finale dei Mondiali. «Ce l’ho fatta!» Si riferisce all’esame di riparazione. Abbraccia don Pino che sbuca in corridoio in quel momento.
«Prof, giuro che comincio a credere in Dio. Mi ha fatto il miracolo!»
Qualcuno avanza timoroso, in attesa della prova, e invidia l’esultanza di chi si è salvato.
«Don Pino, dica una preghiera per me.»
«Con questa faccia? Sembri pronta per un funerale…»
«Sì, quello che mi fanno i miei se non vengo promossa.»
«Vai tranquilla.»
Il prete scorge i professori seduti alla cattedra per l’interrogazione, pentiti di aver rimandato i ragazzi, non perché non siano ignoranti, ma perché a quell’ora sarebbero al mare invece di chiedere Cicerone e Omero con i vestiti incollati alla pelle per il sudore. Saluta i colleghi con un sorriso e si dirige verso la stanza del preside.
«Quest’anno non credo di farcela. Gli impegni della parrocchia aumentano sempre e ho anche il seminario da seguire, come direttore spirituale. Mi sa che devo lasciare, Antonio. Cinque giorni a scuola sono troppi, e quelle cose sono importanti.»
Antonio osserva con attenzione il volto di don Pino, dato che nelle parole non lo riconosce. Ricorda le lunghe passeggiate che facevano la sera a Mondello alla fine degli anni Sessanta, quando lui era uno studente universitario che prestava servizio come educatore e don Pino era l’assistente spirituale dell’istituto Roosevelt, che si occupava di recuperare ragazzi orfani o provenienti da situazioni di grave degrado. L’amico lo ascoltava per ore. Antonio aveva solo vent’anni.
C’era il fresco in quelle serate, il fresco di passeggiate senza altro scopo che passeggiare, come fanno gli amici, sul fare della sera, fino a addentrarsi nella notte e quasi andarle contro facendosene beffe, in due. Si arrivava alla taverna, si mangiava un uovo sodo col sale e si beveva tin bicchiere di vino. Antonio si ricorda di quando lo avevano scambiato per il fratello del panino e padre Pino aveva riso di gusto. Vedevano il mondo con occhi diversi: uno quelli dell’utopia, l’altro quelli della fede. Gli era stato vicino in momenti difficili, durante la laurea, per esempio. Era persino andato alla festa, dove non erano presenti neanche i suoi genitori. Mai aveva trovato un amico come don Pino. Mai. Il suo carisma dipendeva tanto dal saper essere un buon amico, ma anche un padre all’occorrenza.
«Pino, tu sai meglio di me che i ragazzi sono importanti quanto la parrocchia e il seminario. Non hai mai smesso di insegnare proprio per questo. Quanti anni sono ormai?»
«Dal 1978. Mamma mia, siamo fatti vecchi.»
«Parla per te.»
Il preside del liceo Vittorio Emanuele sogghigna, ma l’amico di una vita sembra assente come non gli è mai capitato di vederlo.
«Hai già diminuito le ore, proviamo a concentrarle bene in pochi giorni, così hai tempo per il resto… Ma io da qui non ti lascio andare.»
«Sei sempre stato una testa dura.»
«Ho avuto un buon maestro. Ma che hai, sei stanco?»
«Niente, fesserie. Come va quel problema di tua moglie?»
«Insomma. Miii, ancora te ne ricordi.»
«Sei mio amico, Antonio.»
«Senti, c’è qualcosa che ti preoccupa? Ti vedo un po’ giù. Mai avrei pensato che potessi anche solo ipotizzare di rinunciare alla scuola.»
«No, niente. Sarà lo scirocco. Sarà che sono fatto vecchio davvero.»
«Vero è. Fra qualche giorno è il tuo compleanno. Quanti sono?»
«Un decimo.»
«Quindi settanta?»
«Scimunito. Cinque virgola sei. Ogni dieci anni io ne conto uno. Così resto sempre bambino», e sorride alla maniera dei bambini. «Allora vediamo come fare, ne parlo con chi formula l’orario.»
«Grazie, Antonio. Di’ una preghiera per me.»
«Ma tu lo sai che non siamo tanto in buoni rapporti» risponde il preside accennando con gli occhi al soffitto, mentre storce la bocca. «E fai uno sforzo per un amico!»
«Per te farò un’eccezione.»
«Grazie, ne ho bisogno.»