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«Com’è l’università?» domanda Lucia.
«Faticosa. In confronto le superiori sono una passeggiata. Però è bello studiare solo quello ti piace.» Serena gonfia le guance e sbuffa, poi si illumina in un sorriso furbo.
«E tu, con tutti i mobili che hai visto passare al negozio dei tuoi, sarai un bravissimo architetto d’interni.»
«Vero è. E poi mamma era così orgogliosa quando ho cominciato l’università. Lei non l’aveva potuta fare, e si perdeva in quelle riviste di arredamento che le piacevano tanto.»
«Ti manca?»
«Sempre. E in alcuni momenti di più. Quando inizio qualcosa di nuovo vorrei che fosse con me. Mi sento sola. Tu sei fortunata con tanti fratelli!»
«A volte veramente li sbatterei tutti fuori casa. Manca il respiro là dentro.»
«Tu hai già deciso cosa farai? Vuoi iscriverti all’università?»
«Intanto mi prendo il diploma da maestra, anche se il sogno dei sogni sarebbe fare la regista. Ma con i sogni è meglio non esagerare…»
Passeggiano in silenzio dal mare verso casa. La pelle brunita e levigata dal sole le rende ancora più belle nella luce indomita dell’estate. Le due amiche si salutano con un sorriso. Lucia si inoltra per le vie in cui l’asfalto è malamente rattoppato, i marciapiedi sono crivellati, i mattoni non intonacati conferiscono alle case l’aspetto definitivamente provvisorio che le caratterizza. Quel mare così grande a pochi passi dall’angustia di una casa piccola e affollata le rende il passaggio ogni volta più doloroso. Troppo mare fa male. Non alla pelle, al cuore. Troppo futuro viene da lì, dall’orizzonte, e ti rimane col fiato sul collo, mentre tu cerchi di limitarlo a quel le vie e alle corrispondenti possibilità. Come si fa ad amare il mare se ti mette in petto tanti desideri? Come si fa ad amare quella luce se poi, girato l’angolo, devi rinunciarci?
«Guarda questa quanto s’è fatta bedda» esclama Nuccio alla volta di Lucia, che cerca di tirare dritto abbassando lo sguardo. In un attimo la paura spazza via gli stupidi sogni sedicenni e riporta alla realtà la carne e le gambe, che si irrigidiscono.
Lui non molla, la segue annusando la sua scia.
«Un giorno di questi tu e io ci facciamo una bella passeggiata, eh, Lucia?»
Lei accelera il passo.
«Che, non ti piaccio? Dovresti provare. Hai la bocca di una a cui piace…» Nuccio le sta addosso, le sue parole mordono le spalle come tentacoli di medusa. «Potremmo fare una bella coppia tu e io. Faresti un figurone. Ti proteggerei, nessuno si avvicinerebbe.»
Lucia si blocca. Raccoglie in petto il coraggio che non ha e lo guarda negli occhi con le labbra che le tremano.
«Lasciami stare, hai capito? Lasciami stare.»
«Sennò che fai?» risponde Nuccio afferrandole il braccio con la mano sudata.
La ragazza si divincola e corre via.
Nuccio scoppia a ridere. La paura che incute lo eccita quasi più che fottere le donne.
«Ti conviene darti una calmata. Tanto quello che voglio me lo prendo quando voglio.»
Lei non può sentirlo. Ha le orecchie assordate dalla paura e gli occhi bruciati dalle lacrime. L’inferno non è fatto di promesse non mantenute, ma di promesse negate. Il suo corpo di donna l’atter risce, la sua bellezza la condanna alla violenza. Deve prendere tutte quelle speranze, metterle nel palmo della mano e soffiarle via.
Quando arriva a casa abbraccia sua madre e le piange sul petto.
«Perché Lucia piange?» chiede la sorellina piccola.
Gemma le accarezza la testa per tranquillizzarla, ma non chiede cosa c’è. Non ora, anche se sente il dolore della figlia nella carne. Nella luce dolce della casa sono amare anche le rose nel vaso, stasera. Le vie di fuga precluse, nonostante tutto questo porto.