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Una bambina si avvicina al corpo esanime di don Pino. Ha preceduto gli altri che stavano terminando le prove, voleva essere la prima, lei e la sua bambola. Si è fatta bella per l’occasione e non ha paura della sera senza luna, perché quel giorno non può succedere nulla: è il compleanno di Donpino. Profuma, e negli occhi le danza una bambina al sole. Sa la strada a memoria. Quando arriva se lo trova lì, per terra, in mezzo al sangue. E capisce che è come suo padre, non sta dormendo. Non si risveglierà. È andato oltre il mare. È andato dove vanno a finire i binari di tutti i treni. Gli si siede accanto. Gli poggia una mano sulla testa e l’accarezza, senza dire nulla, la piccola mano si riempie di sangue. Lui sorride. E lei ricambia con gli occhi neri come la notte, e al mare somigliano le sue lacrime. Le hanno preso un altro padre.
Niente sembra poter spezzare quel silenzio.
A un tratto però un urlo lo taglia in due, di netto.
La risacca in sottofondo digrigna come una torma di randagi, e le nuvole in quel cielo-metallo paiono graffi.
Mimmo, il poliziotto del secondo piano, esce con la sigaretta in bocca. Si china sul corpo immobile, le braccia inerti e in una mano le chiavi per aprire una porta diversa da quella della morte.
Accanto a lui giace una bambola che lo fissa con occhi vitrei, senza risposte e senza domande. In piedi, poco distante, una bambina.
«Come ti chiami?»
Lei scappa dentro la notte.
Quando arrivano gli altri bambini con Lucia e il ragazzo, don Pino non c’è più.
«Si è sentito male e l’hanno portato all’ospedale.»
«E il sangue per terra?» chiede Francesco.
«Ha sbattuto la testa cadendo.»
«Vai sempre a testa alta.»
«Che dici?»
«Vai sempre a testa alta.»
«Che significa?»
«Vai sempre a testa alta.»
«Ma che c’entra?»
«È quello che dice il mago Pipino all’orecchio di Orlandino» risponde Francesco. Poi si mette a correre, e non sa neanche bene dove sia l’ospedale, ma è lì vicino.
Gli altri lo inseguono, tutti si affacciano al passaggio di quello sciame di bambini che corrono verso chissà dove.