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La bara è al centro della stanza. Aperta. Attorno vestiti neri riempiti di donne. Gli uomini entrano, fanno un inchino e dopo qualche secondo di silenzio vanno via. Si mormorano lamenti, maledizioni e preghiere. Il ragazzo è in piedi, incastonato in un angolo. Tutti lo guardano inquisitori. Poi tornano ai loro sussurri gonfi di ipotesi.
Don Pino si siede accanto alla bambina con la bambola. E dalla bambola la riconosce. È pulita e profumata, ora, gli occhi selvaggi sono pieni di lacrime e il naso le cola.
Don Pino prega in silenzio.
«Che fai?» chiede lei.
«Dico una preghiera.»
«E a che serve?»
«A parlargli.»
«Ma se è tutto bucato. Gli è uscito il respiro, mi ha detto la mamma. Non torna più.»
«Non è vero. È in cielo.»
«Io lo voglio qui. Mica in cielo. Anzi lo voglio al mare, perché andavamo a mare tutti i sabati e lui mi insegnava a nuotare a poco a poco, perché io ho un sacco di paura dell’acqua alta. Ma con lui no. Adesso però non può venire più il mio papà.»
«Lui è vivo e non vuole che ti senti sola. Non ti ha lasciato.»
«Invece sì. Perché non può più darmi la mano per attraversare la strada quando andiamo a mare.»
«Ti ci porto io a mare a imparare a nuotare.»
«Ma tu ci sai nuotare nell’acqua alta? Mi sembri un poco nico…»
«Piccolo? Un pesce sono!» mente don Pino, che ha paura forse quanto quella bambina dell’acqua alta e del mare quando è mosso.
«Se è vivo, allora io gli lascio la bambola che mi ha regalato lui. Gliela posso mettere qui nella scatola?» chiede la bambina indicando la bara e scoprendo una bocca con qualche dente caduto.
«No, no. Lui l’ha regalata a te ed è contento se ci giochi tu. Vuole che ci giochi tu. Così quando la vesti, le parli, la accarezzi ti ricordi di lui.»
«Sicuro?»
«Certo. Guarda.»
Don Pino cerca qualcosa in tasca e tira fuori un rosario.
«Che cos’è, una collana?»
«Sì, era di mia madre e io la porto sempre con me, le parlo.»
«E lei risponde?»
«Certo.»
«E che ti dice?»
«Di non avere paura, che è sempre con me.»
«Allora me la tengo la bambola. Così anche papà mi può parlare.»
«Sì, credo sia la cosa migliore.»
«E tu come ti chiami?»
«Don Pino.»
«Donpino? Che nome è? È strano…»
«Sì, è un po’ strano» risponde lui con una smorfia.
La bambina sorride.
«Lo sai, Donpino, lo sai che la mia bambola tiene sempre gli occhi aperti?»
La bambina gli mostra gli occhi azzurri e spalancati della bambola. «Così ti protegge. Come si chiama?»
«Bambola.»
«È un bel nome.»
La litania di un rosario riempie il lutto di parole cadenzate come le onde della risacca. Torre della città, prega per noi. Por-ta del cielo, prego per noi. Stella del mattino, prega per noi. Rifugio degli afflitti, prega per noi. Regina della pace, prega per noi. Amen. Amen. Cosìssia.
La bambina si addormenta sul braccio di don Pino, che le accarezza la testa. La morte vista da vicino è com’è la morte. Non è il contrario della vita, ma la sua assenza. La vita ha sempre dentro la vita, anche quando sembra morte, come il guscio della crisalide. Ma la morte non ha nulla dentro, non è il frutto di una dolorosa metamorfosi. E gli uomini hanno dato alla negazione della morte il nome di Dio, perché ci fosse qualcuno più grande della morte.