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Le scarpe. Sì, le scarpe. Con i libri vai dove ti pare rimanendo fermo, ma con le scarpe vai in posti lontani portandoci il corpo e ciò che contiene. Oggi mi è chiaro quanto siano importanti le mie scarpe. Grazie a loro potrò percorrere questo labirinto che è la vita. Il labirinto non si può evitare, ma bisogna stare molto attenti al filo. E io so che il capo del filo adesso è in mano a Lucia. Voglio vederla anche solo per un istante. Chiederle scusa. Dirle che sono rimasto. Voglio imparare le istruzioni per l’uso della notte. Alla fin fine la vita resta sempre attaccata da qualche parte. Sotto le scarpe. E dentro le parole.
Riesco a ritrovare la casa. Busso, ed è proprio lei ad aprirmi. Ha in mano Le notti bianche e tiene il dito a metà libro. Ha gli occhi ancora mescolati di sogni e parole, fatica a mettere a fuoco a quale mondo io appartenga.
«Sono tornato. Ti piace?» chiedo indicando il libro.
«Sì… sei sconclusionato come il protagonista.»
«Dovevo partire per l’Inghilterra, ma non ci sono andato. Volevo rivederti.»
«Perché?»
«Perché sono un rompiscatole.»
«Quanti anni hai?»
«Diciassette.»
«Non li dimostri.»
Abbasso lo sguardo e cerco di raccogliere le poche risorse che mi restano. Vedo le mie scarpe, che hanno fatto quella strada illudendosi che sarebbe stato semplice. Quante altre strade dovranno percorrere prima di dimostrare l’età di chi portano.
«Voglio dire che hai il viso da bambino.»
Lucia sorride.
Non tutto è perduto, sorrido anche io.
«Torno presto. Adesso devo scappare.»
Lucia mi fissa e continua a sorridere, senza dire nulla, e io non so più dove guardare. Mi concentro sulle mie scarpe e le vedo rivolgersi nella direzione da cui sono venute. A giudicare dal calore che sento, devo avere il volto in fiamme.
Per strada incontro il ragazzino che mi ha battuto nei palleggi. Mimo il gesto del pallone sul piede e lo saluto.
«Com’è che ti chiami?»
«Che t’importa?»
«Devo sapere chi è che ha fatto più palleggi di me.»
«Riccardo sono.»
«Ciao, Riccardo. Alla prossima.»
«E tu come ti chiami?»
«Federico.»
«E quanti anni hai?»
«Diciassette.»
«Tu?»
«Io undici.»
«E sei già così forte? Potresti fare il calciatore.»
«Mi ha detto mio padre che mi fa fare il provino al Palermo.»
«Così si fa.»
«E tu che ci vieni a fare qua?»
«Niente, ho amici.»
«Chi?»
«Sono amico di don Pino.»
«Bravo è, don Pino. È amico di tutti, lui.»
«Sì. Tu sei suo amico?»
«Certo. Mi ha promesso che mi spiega la strada per il paradiso.»
«Pure questo sa?»
«Sì.»
«Me la devo far dire anch’io.»
«Prima però tocca a me.»
«Va bene. Ciao, Riccardo. Ci rivediamo.»
«Ciao. Ma tu dove abiti?»
«Da un’altra parte.»
«A Palermo?»
«Certo, a Palermo.»
Ci salutiamo. Cammino soddisfatto della mia toccata senza fuga. Sto cominciando a rompere le scatole e a liberarmi dall’ideologia più morbida che esista, perché usa solo pantofole e non scarpe: il luogocomunismo. Quando mi volto, Riccardo è lì fermo a fissarmi. Lo saluto di nuovo.
Quando arrivo a casa si è fatta quasi ora di cena. Mio fratello mi apre dalla porta di servizio, senza bisogno che io suoni il campanello: avevamo convenuto uno squillo sul telefono di casa. Rientro nella mia stanza e Manfredi mi aggiorna sulle trattative. Il lavoro diplomatico del mio ambasciatore presso il Paese dell’incapacità di capire un adolescente ha ottenuto risultati accettabili. Posso andare a Brancaccio, ma solo fino a che non si parte per il mare. Andrò con loro, e non si discute. I soldi del corso verranno rimborsati nonostante la disdetta all’ultimo istante. Quelli del viaggio sono persi. Dovrò trovarmi un lavoretto per restituirli.
«Sotto sotto papà è orgoglioso di te. Non ti darà mai la soddisfazione, ma l’ho convinto che non sei del tutto impazzito. Mamma invece è terrorizzata che finirai male, come tutti i rivoluzionari borghesi.»
«Ma questi borghesi chi sono? Tu l’hai mai capito?»
«Credo quelli che hanno una casa in cui fare le vacanze diversa da quella in cui abitano.»
«Ed è una cosa brutta?»
«Non mi pare.»
La voce di mamma ci chiama a cena. Chiedo scusa e la vita riprende come prima. Almeno così lascio credere a loro.