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Don Pino calpesta i binari che da bambino voleva seguire, ma poi aveva troppa paura e tornava indietro. Non aveva mai il coraggio di percorrerli fino in fondo.

Suo nonno gli raccontava che portavano ovunque, e che il treno poteva persino entrare dentro una nave e attraversare il mare. Lui lo ascoltava meravigliato e si immaginava i binari gettarsi nel mare.

Da bambino era tutto suo padre. Calzolaio, lavoratore, uomo di poche parole e molti fatti. E tutto sua madre. Sarta, affettuosa e convinta che i figli dovessero studiare per avere una vita. Li ha tenuti entrambi per mano cercando di dar loro tutto il coraggio che serve a morire. Sei anni prima la madre, solo un anno prima il padre.

La voce di una donna che chiama qualcuno alla tavola semplice lo riporta nel tempo in cui i ricordi sfumano. La strada si riavvolge come una pellicola e lo spettacolo è quello di sempre: le palazzine sono basse, hanno vetri smerigliati e comici in alluminio giallastro, che chiudono balconi trasformati in spazi necessari per vivere. Tutto povero e brutto.

Le facciate immobili sono increspate dai panni stesi al vento. Mimmo, il poliziotto, fuma una sigaretta in canottiera e mutande. Ha un cervello fino, Mimmo della squadra mobile, anche se lui di mobile ha molto poco. Si sente al sicuro, don Pino, ad averlo nella sua stessa palazzina, sopra la testa. È come avere la scorta, ma senza dirlo a nessuno e senza l’ingombro di portarsela dappertutto.

Anzi, è come avere un angelo custode in mutande. Mimmo gli dà i suoi pareri sul quartiere, sui cambiamenti imprevisti e le lentissime metamorfosi. I legami che si sciolgono e si creano, manco fosse un chimico alle prese con reazioni nascoste all’occhio inesperto. Quando torna a casa, dopo una giornata di lavoro, Mimmo raccoglie tutti i dati delle sue attente osservazioni e costruisce mappe geografiche del potere e della delinquenza. Si bea nella contemplazione di quegli intrecci e non se ne fa nulla, se non goderne per gusto di perfezione, come solo un cervello palermitano può permettersi di fare: capace di essere freddo con una materia incandescente. Perso in elucubrazioni degne di un alchimista arabo o dei racconti polizieschi più inturciuniati, fissa il vuoto, ma l’arrivo dell’amico lo scuote.

Saluta don Pino con un cenno e ne attende il bonario e rituale rimprovero di ogni sera estiva, una scena scritta in un copione che si ripete da anni.

«Troppo fumi, Mimmo.»

«Di qualcosa bisogna pure morire, parri'.»

Ciò che inferno non è
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