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«Come si diventa direttore d’orchestra?» mi ha chiesto Totò qualche giorno fa.

«Prima di tutto devi conoscere la musica» ho risposto.

Almeno credo sia così, in realtà non ho mai ben capito quanto conti un uomo con una bacchetta in mano. Non è mica una fata.

In ogni caso oggi cominciamo con la prima lezione. La chitarra di Manfredi ha attraversato la città, ed eccola qui a risuonare in un mondo prima inimmaginabile.

Partiamo con qualche esercizio di scioglimento delle dita.

I polpastrelli di Totò pigiano sulle corde sino a rimanerne segnati.

«Non credevo facesse male.»

«All’inizio è così, poi diventerà naturale.»

Come accade a chi è alle prime armi, dalle corde non esce che un suono strozzato, ma a Totò non importa. È affascinato dalle note, dalla loro diversità.

La mano destra trova presto una collocazione sulla cassa, sembra che il senso del ritmo non manchi.

«Hai talento.»

«No, non l’ho portato.»

«Ma che hai capito?»

«Il talento?»

«Sì.»

«E che cos’è?»

«Sei bravo, sei portato per fare questa cosa.»

«Vero dici?»

«Vero.»

«E tu che talento hai?»

«Fare guai.»

«Tipo?»

«Tipo fare arrabbiare i miei genitori.»

«Sai che in quello sono bravissimo pure io? E poi?»

«Mi piacciono le parole.»

«E che ci fai?»

«Tu che ci fai con le note?»

«La musica.»

«E con le parole ci cambi le cose.»

«Tipo?»

«Per esempio tu non sapevi la parola “talento” e ora che l’hai imparata sai che ce l’hai. Prima no.»

«Miii, vero è. Allora mi devi insegnare anche delle parole, così ho più cose.»

«Va bene.»

«Tipo?»

«Tipo cosa?»

«Tipo insegnamene un’altra.»

«Fammi pensare…»

«Una che c’entra con la musica.»

«Polifonia.»

«La musica delle galline?»

«No, non pollifonia, con una sola L. Vuol dire quando ci sono voci o suoni diversi, ciascuno con le sue caratteristiche, che cantano contemporaneamente creando un’armonia complessa.»

«Non ho capito niente. Non lo puoi dire più facile?»

«Aspetta che ci provo. Allora. Guarda queste corde: MI LA RE SOL SI MI. Se io le tocco una alla volta hanno ciascuna un suono diverso, se le suono tutte insieme creano un’armonia. Senti?»

«Sì.»

«La polifonia è un tipo di armonia tra strumenti e voci diverse.»

«Ho capito. Miii, sei bravo a spiegare le cose. Adesso voglio farla io questa armonia. Il direttore d’orchestra fa questo, no? Tanti strumenti e lui li mette tutti insieme muovendo la bacchetta.»

«Ma tu ce l’hai la bacchetta?»

«No, per ora no.»

«Dobbiamo procurarcela.»

«Miii, sarebbe bellissimo. Tu però insegnami.»

«Cosa?»

«Questa polifonia.»

«Ci provo.»

«Tu con le parole sei bravo, puoi insegnare un sacco di cose. Sei meglio della maestra.»

«Esagerato.»

Guardo quella stanza piena di bambini contenti che disegnano, giocano, recitano, ballano… sono loro la polifonia della vita.

Arriva don Pino.

«Facciamo una bella merenda?»

La risposta è corale. Tutti lo seguono nel salone dove è stato predisposto un tavolo con Coca-Cola e pane e Nutella. Il resto può anche essere di altre marche, ma quelle due cose devono essere così, pena la rivoluzione.

Cerco di incrociare gli occhi di Lucia, ma è troppo presa dai bambini. Sta parlando con Dario e gli spiega qualcosa muovendo le mani come se le ali di un gabbiano planassero. Rimango imbambolato a fissarla. E da una zona poco esplorata della mia geografia interiore emergono altre parole che ho mandato a memoria: Trovòmmi Amor del tutto disarmato, /e aperta la via per gli occhi al core.

Quando la sala è ormai quasi vuota, recupero le mie cose per tornare a casa.

La chitarra è sparita.

Ho un sussulto. La chitarra di Manfredi.

La cerchiamo dappertutto, ma non c’è. Le profezie si avverano sempre, soprattutto quando sono negative.

Mettiamo a soqquadro il centro, ma la chitarra non salta fuori. Poi entro nel salone delle prove teatrali. Nel buio sento pizzicare delle corde. Mi avvicino e vedo Totò seduto in un angolo che le tocca e ne ascolta il suono, con l’orecchio quasi incollato sopra. Sono furioso, anche perché arriverò in ritardo alla pizza per salutare Gianni che parte per le vacanze. Già continuano a ripetermi che sono completamente pazzo: Brancaccio per Oxford.

Ma quando Totò alza lo sguardo su di me, come risvegliato da un sogno, ha gli occhi lucidi per la gioia. Sorride, disarmato e disarmante.

«Non ho mai avuto una cosa così bella.»

Mi siedo accanto a lui.

«Continua. Te la presto, ma trattala bene» mi sento dire, mentre l’altro me sa che sto commettendo l’ennesimo errore. Veggio ’l meglio, e al peggior m’appiglio.

Totò sorride con gli occhi ancora lucidi.

«È il mio talento», e bacia la chitarra di mio fratello.

Mi abbraccia.

So che sono un uomo morto. Dice una parte di me.

So che sono un uomo vivo. Dice l’altra parte.

Ciò che inferno non è
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