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Le opere e i giorni è un titolo epico, di un’epica ordinaria che trasforma in versi la prosa quotidiana, ed epico è questo mese di giorni e opere senza tregua. Il tempo è fatto di granelli di spasimo. E non a caso l’uomo ha scelto la sabbia per dire il tempo, quel che resta della materia spossata dal sole, dal mare, dal vento. Don Pino riempie i giorni di opere e le opere di giorni. I suoi non sono pensieri facili da abitare, eppure, indomabile, il cuore spera. E trema.

Un grano di sabbia è il 13 settembre, un giorno stranamente cupo per la stagione. Il cielo si riempie di nuvole giallastre bramose di riversare sabbia sulla città, di macchiare la carrozzeria delle auto e i vetri delle case riducendo l’estate a un ricordo polveroso.

Don Pino sottolinea dei passi del breviario, non lo ha mai fatto. Sono le parole di Giovanni Crisostomo, che scrive dalla nave che lo conduce in esilio. Mentre la nave prende il largo, osserva a poppa il porto con i suoi fuochi tremanti, a prua il sole al tramonto che macchia l’orizzonte di sangue: “Molti marosi e minacciose tempeste mi sovrastano, ma non ho paura di essere sommerso, perché sono fondato sulla roccia. Cosa dovrei dunque temere? La morte? Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno. E se Cristo è con me, di chi avrò paura? Povero sono venuto, povero me ne vado”.

Giovanni troverà la morte durante il viaggio e le sue ultime parole furono: “Gloria a Dio in tutte le cose”.

Un altro grano è il 14 settembre, la festa della Croce. Si commemora il ritrovamento della croce di Cristo da parte di Elena, madre di Costantino. La riportò alla luce facendo scavare tra le macerie del tempio di Venere, costruito pochi anni dopo la morte di Cristo dall’imperatore Adriano, sul colle del Golgota, nel tentativo di sostituire all’amore amaro dei cristiani il dolce vino dell’eros pagano. Don Pino celebra la messa per la comunità di ragazze madri che segue. Nella cappella c’è una copia dell’Annunciata di Antonello da Messina, con il volto sospeso tra un sorriso e la paura, incorniciato da quel velo blu che definire blu è una bestemmia, perché è dipinto con il colore del mare appiccicato direttamente sulla tela, con le nervature d’oro che ha il mare nei giorni di sole. Don Pino spiega loro che Maria agli occhi della gente, e persino del suo amato, Giuseppe, risultava proprio una ragazza madre. Il suo concepimento non aveva autore umano e non era certo facile da spiegare. Ecco perché nel momento dell’annunciazione sul suo viso ci sono la paura e la pace, in un paradosso che solo chi conosce Dio sperimenta, il paradosso più bello della fede.

Don Pino scorre i volti di fronte a sé e riconosce la ragazza del quadro - una mano avanti in segno di difesa e l’altra a chiudere la veste, perché l’amore l’ha ormai attraversata e il suo frutto va protetto - nei capelli neri di una, nella pelle scura di un’altra, negli occhi stanchi e impauriti di tutte, negli occhi pieni di speranza di Serena. Sì, è proprio lei, è arrivata dopo e si è seduta in fondo. Gli sorride da lontano, con le mani che si muovono nervose sul grembo.

Don Pino si rianima e sente le parole fluire con più forza: «Guardate dove guarda Maria, quando sa che dovrà affrontare la sua vergogna. Guardate dove guarda lei in questo quadro. Guardate Dio. E fidatevi, che non vi lascia sole».

Poi parla della festa di quel giorno, che trasforma ogni sconfitta in vittoria, ogni segno meno in un segno più, come la forma della croce sulla quale Cristo perdona i suoi persecutori, incapaci di comprendere ciò che fanno. Ricorda che anche Cristo ha sofferto fino al sangue nell’orto del Getsemani.

«Cristo si sentì solo e chiese a tre uomini di fargli compagnia. Loro però si addormentarono e lui sudò sangue, tale era la paura che lo attraversava. Morte e amore duellarono in lui. L’amore vinse, ma la paura della morte lo fece sanguinare. Per questo non siamo mai soli nella paura e nel dolore. Perché lui li ha attraversati e vinti, e sono solo un passaggio verso una vita più grande e infinita d’amore. La croce l’abbiamo inventata noi ed è solo nostra. Non è quello che lui ci porta. Lui ha inventato l’amore: l’amore per chi abbiamo accanto, per le persone che la vita ci affida. Un dolce peso, come il vostro grembo. Anche voi siete chiamate a fare questo ogni giorno. La croce non è il dolore, non è la sofferenza, ma solo l’amore che cura, guarisce, donandosi.»

Le ragazze lo fissano e non hanno capito molto. Serena gli sorride tra le lacrime, perché sa che sta parlando a lei e al suo rinnovato coraggio. Il volto di lui ora sorride così apertamente che anche le altre finiscono per pensare che, qualsiasi cosa abbia detto, sia vera.

Ciò che inferno non è
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