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Il Cacciatore sa che ciò che si deve fare si fa. Ora più che mai, ora che Madre Natura lo ha scelto. Ciò che si deve fare adesso è uccidere un uomo. Così gli hanno detto, e lo hanno detto a lui perché le sue virtù sono rapidità e determinazione, garanzia di precisione.
Fino a vent’anni era stato un lavoratore infaticabile. Si era spezzato la schiena come un asino. Lo faceva perché amava sua moglie e il loro primo figlio. Poi le cose erano andate come va il mondo: storte. Aveva perso il lavoro e aveva bisogno di soldi. Conosceva le persone giuste e aveva cominciato con le rapine.
Il percorso verso cose più grosse era stato come i gradini di una scala.
E poi c’erano i soldi, tanti soldi. E facili. Senza spezzarsi la schiena.
Quando aveva aperto il negozio di articoli sportivi e non ingranava, loro gli davano due milioni al mese per mantenersi. Poi la sua devozione e obbedienza gliene avevano procurati cinque. E pensare che da muratore si ammazzava di fatica per guadagnarne uno più che smozzicato.
Adesso è sufficiente uccidere qualcuno ogni tanto. Niente paga come la determinazione. E nessuno ne ha tanta quanto lui. Sulla determinazione non si pagano le tasse allo Stato, forse all’anima, ma quel prurito passa in fretta, soprattutto se hai una famiglia da mandare avanti.
Se c’è da uccidere qualcuno, il suo braccio è una spada già sguainata, silenziosa e affilata. Per questo Madre Natura lo ha scelto per sé, lo ha voluto nel suo esercito, nel suo gruppo di fuoco.
Lo vede uscire di casa. Un uomo sulla quarantina.
È primo pomeriggio e la strada è desolata, un silenzio festivo e spossato veste le strade.
Il Cacciatore si stacca dalla parete come una pietra che ha preso vita. Il calcio della pistola comprime l’addome teso dopo il pranzo domenicale.
L’uomo entra in una via laterale ancora più deserta. Dai televisori accesi scivolano in strada resti di parole che evaporano subito.
Cammina tranquillo, con il fumo di una sigaretta a fargli compagnia, quando il Cacciatore lo affianca e gli spara dritto in testa. La pistola con il silenziatore regala un singhiozzo all’uomo, un singhiozzo in fondo misericordioso, perché non ha nemmeno il tempo di soffrire. L’anima, uscendo dal buco aperto nella testa, si mescola ai frammenti di voci televisive ed evapora anche lei. Un pezzo di ferro in un pezzo di carne. Poi gli spara altri due colpi nel cuore, al traditore.
Il Cacciatore continua a camminare. Nessuno ha visto e sentito niente. Il bucato continua ad asciugarsi immacolato e sospeso tra cielo e terra. Il vento lo accarezza e tutto sembra semplice e puro. Il sangue invece dilaga.
Fa un giro dell’isolato. Si libera della pistola nascondendola nel solito magazzino.
Torna a casa, accarezza la testa di uno dei suoi figli e gioca con lui.
Poi, un’ora dopo, ritorna in strada e si avvicina al capannello di persone attorno al cadavere.
La polizia sta già facendo i rilievi.
Il Cacciatore si informa sull’accaduto, con pietà circospetta.
Una bambina è inginocchiata vicino al corpo dell’uomo. Ha una bambola mezza nuda accanto a sé.
La madre vorrebbe allontanarla dal sangue che le macchia le ginocchia.
«Poi papà torna quando tutti se ne vanno? E sparisce il sangue e apre gli occhi?»
La mamma gira la testa e singhiozza, mentre la bambina tiene la mano al padre, ormai confinato nello spazio dei ricordi, dei quali l’ultimo rimarrà una frontiera invalicabile. Il volto deformato dal colpo. Il cuore sparpagliato nella gabbia toracica.
Il Cacciatore non ha occhi, guarda la scena come si guarda un film per l’ennesima volta, quando non danno niente di buono in tv.
Ciò che si deve fare si fa.