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Poi arriva il giorno del compleanno di don Pino. Il 15 settembre. Ed è il giorno dedicato a Maria addolorata. Una madre che piange la morte del frutto del suo grembo. E spasima per lui.
I grani del tempo sono finiti e ci sono preghiere come sogni premonitori.
Hai voluto che ti dessi del tu e ora lascia che io lo faccia.
Per te ho rinunciato a una donna, a una famiglia, a dei figli.
Come famiglia mi hai dato questo quartiere disgraziato di delinquenti, relitti e santi. E di figli.
Mi hai promesso che mi saresti bastato.
Dove sei?
In loro?
Come si fa ad amare chi ti sputa in faccia?
Come si fa ad amare chi ti uccide?
Amare i propri nemici è la follia più grande a cui abbia creduto.
Loro avranno sempre l’ultima parola, la loro forza.
La gente chiama loro e me allo stesso modo. Don.
Don Giuseppe Puglisi. Don Giuseppe Graviano. ’U parrinu. Loro come me.
Dove pensi che vada la gente? Da loro che hanno la forza o da me che ho solo libri e parole? Dio degli eserciti, Dio onnipotente?
Dio debole e silenzioso.
Così tratti i tuoi amici?
Per questo ne hai così pochi.
Ma non ti abbandono. Tu mi hai dato tutto.
Adesso prendimi, portami in alto e tra la luce e l’aria fammi scoprire le mie ali.
Lascia che io sia come quando mia madre mi prendeva in braccio e mi riempiva di baci.
Lascia che io sia come quando mio padre tra una montagna di scarpe da riparare mi sollevava sulle spalle e mi faceva vedere le cose. Persino il mare si vedeva da quelle spalle.
Sollevami sulle tue spalle e fammi vedere il mare.
Da lassù tutto quel mare scuro da attraversare non fa paura.
Se non ho dentro di me il paradiso, mai vi entrerò.
Non ho paura della morte.
Ho paura di morire.
Io cerco il tuo volto, tu non me lo nascondere.
Ora e nell’ora della mia morte.