XII

 

Da quando è stato scoperto e dimostrato il sistema di Copernico il semplice riconoscimento che non è il sole a muoversi ma la terra ha distrutto tutta la cosmografia degli antichi. Sarebbe stato possibile, confutando il sistema, mantenere la vecchia concezione sul movimento dei corpi; ma, senza confutarlo, era impossibile continuare nello studio dei mondi tolemaici. Ma anche dopo la scoperta di Copernico, i mondi tolemaici continuarono a essere studiati ancora per lungo tempo.

Da quando per la prima volta un uomo ha detto e dimostrato che la quantità delle nascite o dei delitti è soggetta a leggi matematiche e che date condizioni geografiche e politico-economiche determinano questa o quella forma di governo, che determinati rapporti tra la popolazione e la terra producono movimenti di popoli, da allora sono state distrutte nella loro sostanza le basi sulle quali si edificava la storia.

Sarebbe stato possibile confutando le nuove leggi conservare la vecchia concezione della storia, ma, senza confutarle, non era possibile, parrebbe, continuare a studiare i fatti storici come un prodotto della libera volontà degli uomini. Poiché, se si è costituita una certa forma di governo o si è compiuto un certo movimento di popolo in seguito a determinate condizioni geografiche etnografiche o economiche, la volontà di quegli uomini che consideriamo come fondatori di quella forma di governo o propulsori di quel dato movimento di popolo, non può più essere considerata la causa.

E tuttavia la storia antica continua a essere studiata insieme con le leggi della statistica, della geografia, dell’economia politica, della filologia comparata e della geologia, che contraddicono apertamente le sue posizioni.

Nella filosofia della natura la lotta fra le vecchie e le nuove concezioni è stata lunga e accanita. La teologia difendeva le vecchie concezioni e accusava le nuove di distruggere la rivelazione. Ma quando la verità ha finito con il prevalere, la teologia si assestò altrettanto saldamente sul nuovo terreno.

Altrettanto lunga e accanita è la lotta che si svolge ai giorni nostri tra le vecchie e le nuove concezioni della storia ed esattamente nello stesso modo la teologia si pone a difesa delle vecchie concezioni e accusa le nuove di distruggere la rivelazione.

Sia nell’uno che nell’altro caso da tutte e due le parti la lotta scatena le passioni e soffoca la verità. Da una parte, entrano in gioco paura e il rimpianto per tutto l’edificio costruito durante i secoli; dall’altra la passione della distruzione.

Agli uomini che lottavano contro la nascente verità della filosofia della natura sembrava che, se avessero riconosciuto quella verità, sarebbe andata distrutta la fede in Dio, nella creazione dell’universo, nel miracolo di Giosué figlio di Naim. Ai difensori delle leggi di Copernico e di Newton, per esempio, a Voltaire, pareva che le leggi dell’astronomia distruggessero la religione e Voltaire impiegava le leggi della gravità come un’arma contro la religione.

Esattamente nello stesso modo sembra oggi che basti riconoscere la legge della necessità perché siano distrutti il concetto di anima, di bene e di male e tutte le istituzioni statali ed ecclesiastiche edificate su questi concetti.

Esattamente nello stesso modo anche oggi, come Voltaire ai suoi tempi, i difensori non riconosciuti della legge della necessità adoperano questa legge come un’arma contro la religione, laddove, esattamente come la legge di Copernico in astronomia, la legge della necessità nella storia non solo non distrugge ma anzi consolida quelle basi sulle quali si edificano le istituzioni statali ed ecclesiastiche.

Come allora nell’astronomia, così oggi nel problema storico, tutta la diversità delle concezioni si basa sul riconoscimento o non riconoscimento di un’unità assoluta che serva da misura per i fenomeni visibili. Nell’astronomia era l’immobilità della terra; nella storia è l’indipendenza della persona, la libertà.

Come per l’astronomia la difficoltà di ammettere il movimento della terra stava nel rinunciare alla sensazione immediata dell’immobilità della terra e all’analoga sensazione del moto dei pianeti, così anche per la storia la difficoltà di riconoscere la subordinazione della personalità alle leggi dello spazio, del tempo e della causalità consiste nel rinunciare alla sensazione immediata di indipendenza della propria personalità. Ma come nell’astronomia la nuova concezione diceva: «È vero, noi non percepiamo il movimento della Terra, ma, ammettendone l’immobilità, arriviamo a un assurdo; ammettendo invece il movimento che pur non sentiamo, giungiamo a formulare delle leggi,» così nella storia la nuova concezione dice: «È vero, noi non sentiamo la nostra dipendenza, ma, ammettendo la nostra libertà, arriviamo a un assurdo; ammettendo invece la nostra dipendenza dal mondo esterno, dal tempo e dalle cause giungiamo a formulare delle leggi.»

Nel primo caso bisognava rinunciare alla coscienza dell’immobilità nello spazio e riconoscere un movimento, che non avvertivamo; nel caso presente è altrettanto necessario rinunciare a una libertà di cui abbiamo coscienza e riconoscere una dipendenza che non siamo in grado di avvertire.

Guerra e Pace
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