XI
Il giorno dopo il feldmaresciallo offrì un pranzo e un ballo, che l’imperatore onorò della sua presenza. Kutuzov era stato insignito dell’ordine di San Giorgio di primo grado; il sovrano lo trattava con grande deferenza, ma tutti sapevano che era scontento di lui. Si rispettavano le convenienze e l’imperatore era il primo a dare l’esempio, ma tutti sapevano che il vecchio era sotto accusa e non era buono a nulla. Quando al ballo, Kutuzov, secondo una vecchia abitudine dei tempi di Caterina, nel momento in cui l’imperatore faceva il suo ingresso nel salone, ordinò di deporre ai suoi piedi le bandiere conquistate al nemico, l’imperatore ebbe un moto di fastidio e pronunciò alcune parole. Qualcuno credette di udire: «Vecchio commediante.»
Il malcontento dell’imperatore nei confronti di Kutuzov aumentò ulteriormente a Vilno soprattutto perché Kutuzov chiaramente non voleva o non poteva comprendere il significato dell’imminente campagna.
Quando il mattino dopo il sovrano disse agli ufficiali riuniti da lui: «Voi non avete salvato solo la Russia, avete salvato l’Europa,» tutti da quel momento capirono che la guerra non era finita.
Solo Kutuzov non voleva capirlo, e diceva apertamente la sua opinione, secondo la quale una nuova guerra non poteva migliorare la situazione e aumentare la gloria della Russia, ma poteva soltanto peggiorarne la posizione e far precipitare da quel sommo vertice di gloria che la Russia aveva ora raggiunto. Egli cercò di far capire all’imperatore l’impossibilità di arruolare nuove truppe; gli parlava delle gravi condizioni in cui versava la popolazione, della possibilità di un insuccesso, e così via.
Con un atteggiamento del genere, era evidente che il feldmaresciallo rappresentava solo un impaccio e un freno alla guerra imminente.
Per evitare urti col vecchio, si trovò una via d’uscita, la stessa di Austerlitz e dell’inizio della campagna con Barclay, che consisteva nel sottrarre al comandante in capo, senza allarmarlo e senza informarlo, la base del suo potere e nel trasmetterlo alla persona stessa del sovrano.
A tale fine si rimaneggiò gradualmente lo stato maggiore e la forza sostanziale dello stato maggiore di Kutuzov fu distrutta e trasferita al sovrano. Toll, Konovnicyn, Ermolov ebbero altre destinazioni. Tutti dicevano ad alta voce che il feldmaresciallo era diventato molto debole e che la sua salute era scossa.
E questo era indispensabile per poter passare il suo posto a chi gli sarebbe succeduto. E la sua salute era effettivamente in netto declino.
Nello stesso modo naturale, semplice e graduale con cui Kutuzov di ritorno dalla Turchia era apparso al palazzo delle finanze di Pietroburgo e aveva radunato la milizia e poi era diventato capo dell’esercito proprio quando era necessario, in modo altrettanto naturale, graduale e semplice, ora che la sua parte era finita, al suo posto apparve un nuovo personaggio richiesto dal momento storico.
La guerra del 1812, oltre al suo significato nazionale, caro al cuore di ogni russo, ne aveva un altro, europeo.
Al movimento dei popoli da occidente verso oriente doveva seguire un movimento di popoli da oriente verso occidente, e per questa nuova guerra era necessario un uomo nuovo che avesse qualità e opinioni diverse da quelle di Kutuzov e fosse mosso da altri impulsi.
Per il movimento dei popoli da Oriente verso Occidente e per il ristabilimento delle frontiere tra i popoli, Alessandro I era altrettanto necessario di quanto lo era stato Kutuzov per la salvezza e la gloria della Russia.
Kutuzov non capiva che cosa volessero dire Europa, equilibrio, Napoleone. E non poteva capirlo. Al rappresentante del popolo russo, una volta che il nemico era stato annientato, la Russia liberata e riportata all’apice della sua gloria, all’uomo russo in quanto russo, non restava più niente da fare. Al rappresentante della guerra nazionale non restava più nulla se non morire. Ed egli morì.