VI
Nei primi tempi della sua presenza a Pietroburgo il principe Andrej aveva la sensazione che tutto il suo ordine di idee, elaborato nel corso della sua vita solitaria, veniva del tutto sommerso dalle piccole preoccupazioni che nella capitale finivano per assorbirlo completamente.
Ogni sera, tornando a casa, prendeva nota nel suo taccuino di quattro o cinque visite indispensabili o di rendez-vous e delle ore stabilite. Il meccanismo della vita, la distribuzione della giornata elaborata in modo da poter arrivare in tempo in ogni luogo, gli sottraevano la maggior parte della sua energia. Non faceva nulla, non pensava a nulla e non aveva il tempo per pensare; parlava soltanto, e parlava con successo di ciò che aveva avuto modo di maturare nella mente, in campagna.
A volte si accorgeva con disappunto di aver ripetuto le stesse argomentazioni parlando nella stessa giornata in differenti gruppi di persone. Ma era così occupato tutto il giorno, che non riusciva a pensare al fatto che non pensava a nulla.
Speranskij, come nel corso del suo primo incontro con lui in casa del conte Koèubej, anche dopo, quel mercoledì successivo a casa sua, dove parlò a lungo e confidenzialmente con lui a tu per tu, produsse nel principe Andrej una forte impressione. Egli considerava spregevole e insignificante un così alto numero di persone, aveva tanta voglia di ravvisare in qualcun altro un ideale vivente di quella perfezione a cui egli aspirava, che credette facilmente di aver trovato in Speranskij questo ideale d’uomo del tutto razionale e virtuoso. Se Speranskij fosse appartenuto al suo stesso ambiente sociale, se avesse avuto la stessa sua educazione e le sue stesse abitudini morali, ben presto Bolkonskij avrebbe captato i suoi lati deboli, umani, non eroici; ma quella impostazione logica dell’intelligenza, che gli riusciva strana, gli suscitava tanto più rispetto in quanto non la comprendeva perfettamente. Inoltre, sia che Speranskij apprezzasse le doti del principe Andrej, sia che ritenesse necessario conquistarlo, civettava nei suoi confronti con la sua mente logica, impassibile e tranquilla, e lo irretiva con quella sottile lusinga, che è sempre unita alla presunzione, e che consiste nel sottintendere tacitamente come il proprio interlocutore sia la sola persona, insieme con noi, capace di capire tutta la stupidità di tutti gli altri, e la ragionevolezza e la profondità dei nostri pensieri.
Quel mercoledì sera, durante la loro lunga conversazione, Speranskij più di una volta disse: « Da noi si considera tutto quello che esce dalla consuetudine più invecchiata…» oppure con un sorriso: «Ma noi vogliamo che i lupi siano sazi e le pecore sane e salve…» oppure: « Loro questo non possono capirlo…» E sempre con una stessa espressione che diceva: «Noi, voi ed io, comprendiamo benissimo chi sono loro e chi siamo noi.»
Questa prima, lunga conversazione con Speranskij non fece che rafforzare nel principe Andrej la sensazione che gli aveva destato la prima volta. In lui egli vedeva un uomo logico, un pensatore rigoroso, di straordinaria intelligenza, che grazie alla sua energia e alla sua tenacia aveva raggiunto il potere e ne faceva uso solo per il bene della Russia. Agli occhi del principe Andrej, Speranskij era proprio l’uomo che spiega in modo razionale tutti i fenomeni della vita, che riconosce per reale soltanto ciò che è razionale, e che sa applicare a tutto il metro della ragione: era, insomma, l’uomo che lui stesso avrebbe voluto essere. Tutto appariva così semplice e chiaro nell’esposizione di Speranskij, che il principe Andrej era, senza volerlo, d’accordo con lui su tutto. Se muoveva obiezioni e discuteva, era soltanto perché voleva di proposito affermare la propria autonomia e non soggiacere del tutto alle opinioni di Speranskij. Così procedevano le cose tra loro; c’era un solo motivo di turbamento per il principe Andrej: era lo sguardo di Speranskij, freddo, cristallino, che impediva di vedere a fondo nella sua anima, e quella mano bianca, delicata che il principe Andrej guardava senza volerlo, come si guardano le mani degli uomini che detengono il potere. Quello sguardo cristallino e quella mano delicata irritavano, chissà perché, il principe Andrej. Egli era spiacevolmente colpito anche da quell’eccessivo disprezzo per gli uomini che notava in Speranskij e dai vari espedienti ai quali ricorreva per far confermare le sue opinioni. Esclusi i paragoni, adoperava per questo tutti i possibili artifici del pensiero, e passava troppo arditamente da uno all’altro; o, almeno, tale era l’impressione del principe Andrej. Ora si metteva sul terreno dell’uomo di azione e condannava i sognatori, ora sul terreno della satira e si beffava degli avversari, ora sceglieva la logica più rigorosa, ora si librava nel campo della metafisica. E quest’ultimo, anzi, era lo strumento di prova al quale faceva più facilmente ricorso. Trasportava il problema nelle sfere metafisiche, passava a definizioni dello spazio, del tempo, dell’umana intelligenza, e, traendo di là le sue confutazioni, scendeva di nuovo sul terreno della discussione.
In ultima analisi, la caratteristica principale dell’intelligenza di Speranskij, quella che in maggior grado colpiva il principe Andrej, era l’incrollabile fede nella forza e nella legittimità della ragione. Si capiva che a Speranskij non poteva mai venire in mente il pensiero, così abituale nel principe Andrej, che in fin dei conti non è possibile esprimere tutto ciò che si pensa; che mai lo coglieva un dubbio: «Non sarà un assurdo tutto ciò che penso e tutto ciò in cui credo?»
Ma era proprio questa particolare impostazione mentale di Speranskij ad attrarre più d’ogni altra cosa il principe Andrej.
Nel primo periodo della sua conoscenza con Speranskij, il principe Andrej nutrì per lui un senso appassionato di entusiasmo, simile a quello che un tempo aveva provato per Bonaparte. La circostanza che Speranskij fosse figlio di un prete, che gli sciocchi potessero, come infatti molti facevano, disprezzarlo trattandolo volgarmente da baciapile, induceva il principe Andrej a considerare con speciale calore il sentimento che provava per Speranskij e a rafforzarlo in forma inconscia dentro di sé.
Quella prima sera che egli trascorse da lui, diffondendosi a parlare della commissione incaricata della compilazione delle leggi, Speranskij gli raccontò non senza ironia che tale commissione esisteva già da cinquant’anni, costava milioni e non aveva concluso un bel nulla; che Rosenkampf appiccicava tante etichette a tutti gli articoli della legislazione comparata.
«Ed ecco tutto quello per cui lo Stato ha sborsato milioni!» disse. «Noi vogliamo dare un nuovo potere giudiziario al senato e da noi mancano le leggi. Per questo, appunto, è un peccato che uomini come voi oggi non siano in servizio, principe.»
Il principe Andrej osservò che per questo occorreva una cultura giuridica che lui non aveva.
«Ma nessuno ce l’ha, sicché cosa volete? È un circulus vitiosus dal quale ci si deve sforzare di uscire.»
Una settimana dopo il principe Andrej era membro della commissione per la redazione del codice militare e, cosa che non si sarebbe mai aspettata, capo di un servizio della commissione per la compilazione delle leggi. Su richiesta di Speranskij si assunse la prima parte del redigendo codice civile e, con l’ausilio del Code Napoléon e di quello Justiniani, cominciò a lavorare alla stesura del capitolo sui diritti delle persone.